32. From The Past

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Certe volte mi chiedo da dove provengano le anime.
Io me le immagino come pezzi di carta bianca.
I bambini sono quelli con le anime più pure.
Poi si cresce e la tua anima si macchia, di sangue di inchiostro. Si strappa. Si inzuppa d'acqua. Viene stritolata sotto la mano di qualcuno.
Nemmeno tu puoi vedere o toccare la tua anima, ma allora perché gli altri possono?
Perché gli altri possono distruggerla o ricucirla come se fosse un peluche?
Queste sono le domande dei bambini.
Domande innocue e sono questa domande che a noi adulti ci fanno paura, perché forse sappiamo che la nostra risposta sarebbe troppo razionale.
Una risposta razionale a un qualcosa di irrazionale, sarebbe illogico, sarebbe incomprensibile per un bambino.
E allora come spiegarglielo?
Come far capire a lui un qualcosa che nemmeno noi possiamo capire?
La vita è fatta di attimi e di ricordi e l'anima è solo un cassetto che li custodisce.
Noi siamo quel cassetto, noi siamo la nostra anima, noi siamo i nostri ricordi.
Come spiegare che nel mondo esistono persone in grado di strappartela senza emettere un fiato?
Le lacrime che versi sono acqua da bere la mattina appena si svegliano e l'odore del sangue è il loro profumo preferito.
Come spiegare la crudeltà del mondo a una bambina che nemmeno sa cos'è? Anche se ha vissuto dentro quel vortice di violenza per anni, fino a credere che quella fosse la normalità.
Quella bambina mi fa quasi paura e io adoro i bambini, a casa ci sono i miei due piccoli ometti che mi aspettano, ma lei?
Lei che ha il vuoto nello sguardo.
Lei che sembra essere priva di quel foglio di carta.
E il dubbio nasce spontaneo.
Possibile che glie l'abbiamo già strappata via?
Possibile che la sua anima ancora pura che risplendeva di luce propria facesse così invidia da essere presa così avidamente?
Quel suo sguardo vuoto mi induce a pensare che sia una bambola e non una bambina.
Mi induce a credere che sia sbagliata in ogni forma.
C'è qualcosa che non va eppure non lo riesco a vedere.
Mi guarda con apatia.
No, non mi guarda.
Non sta guardando niente.
Sembra cieca.
Priva di poter vedere.
«Dov'è papà?» domanda e per un momento penso se nella stanza ci sia effettivamente un'altra persona o no.
Non so cos'abbia quella bambina.
La continuo ad osservare come se fosse una statua.
Mi vengono i brividi.
Nei suoi occhi verdi possiede la morte.
I suoi occhi sono il riflesso del vuoto nel suo petto.

Posso costruire qualcosa da niente?
Potremmo mai ridare un'anima a questa povera creatura?
Potremmo mai insegnarle qualcosa che fin da piccola confondeva?
È come quando impari una filastrocca, se sbagli un verso farai il doppio della fatica a rimediare quell'errore già imparato.
«Papà?» la sua vocina flebile è così innocua come il suo aspetto.
Le trecce bionde sono disordinate e spettinate, come se se le fosse fatte da sola, imparando semplicemente guardando.
Sul suo collo segni violacei spuntano come degli spruzzi di colore su una tela bianca.
Gli occhi non sono lucidi.
Quegli occhi non provano niente.
Com'è possibile?
«Papà ha detto che mi ama»
Papà mentiva.
Quello di papà non era amore.
Ma come spiegarglielo?
Come spiegarglielo a quella bambina senza un'anima?
I bambini cercano risposte perché sanno che noi siamo più grandi, abbiamo vissuto di più e quindi sappiamo di più.
Eppure lei non è un "problema" da risolvere tramite formule che la vita dona nella sapienza.
«Tu piccola sei un'enigma e gli enigmi vanno capiti, non risolti»
Lei mi guarda con occhi grandi.
Mi sforzo.
Ci provo ma continuo a vedere il vuoto che la consuma.
In me c'è solo la speranza che qualcuno possa ricostruire da capo l'anima di questa povera creatura privata della vita fin dalla nascita.
«Vieni con me piccola, ti porto in un posto dove starai al sicuro» le allungo la mano e lei me la scruta come se fossi un mostro.
«Sono già al sicuro»
E solo ora capisco che ormai i suoi demoni restano l'unica parte integrante di se.
L'unica cosa che non la fanno sentire vuota.
L'unica cosa che la costringono a provare qualcosa.
Anche se è circondata da buio.
Anche se il buio ormai compone il suo corpo, lei continua a provare qualcosa e quel qualcosa è una malattia.
È muffa che si è insediata dentro di lei.
«Ti porto a casa, solo per qualche giorno per aspettare che mamma e papà tornino a casa» non abbasso la mano.
Sto ancora aspettando che lei si possa fidare di me.
«Papà è morto e mamma se n'è andata»
Le sue rivelazione lasciano un'aria di suspense che mi mozza il fiato.
Brividi mi accarezzano le vertebre delle mai schiena dorsale.
«Mamma ha paura di me, se n'è andata per quello?»
Sa la risposta ma pensa che io possa cambiare la realtà.
«Mamma ritornerà solo quando avrai raggiunto i 17 anni tesoro, mi ha detto di prenderti cura di te nel frattempo, coraggio, non ti voglio fare del male»
La mia mano attende la sua e solo quando lei me l'afferra capisco realmente cosa possieda dietro quelle sue iridi verdi.
Il suo corpo è congelato come se fosse morto.
La carnagione pallida è solo l'ennesima prova che lei sia la reincarnazione della morte.
La prendo con me e la porto lontano da quella casa in cui lo sterminio della sua anima ha avuto inizio.
Tutto è finito in quella casa ed è iniziato nel momento in cui ha messo piede al di fuori di quella porta.
Prima di uscire di casa vedo il quotidiano sparso a terra con cui quella bambina ha cercato di assorbire il sangue sparso sul pavimento.
La data di oggi spicca tra le altre parole.
27 marzo 1989.
«Scusa tesoro, non ti ho chiesto come ti chiami»
Lei mi guarda e sembra quasi indecisa su quello che dire e insicura nel farlo.
«Becka, tutti mi chiamano così»
«Va bene, Becka, adesso ti porto a casa»

Sonder // Mattheo RiddleWhere stories live. Discover now