49. It's Time The Tale Were Told

438 15 13
                                    

Mattheo

Giorno 26
Giovedì 29 novembre 1996 ore 01:03

«Chi l'avrebbe mai detto, eh? Noi tre, tutti insieme... » nella mia testa questa frase funzionava alla grande per sdrammatizzare la situazione ma notando le loro facce arrabbiate penso che li abbia fatti incazzare ancora di più.

«Non hai risposto alla mia domanda» ringhia Theodore, talmente furioso che a momenti potrei vedere il fumo uscirgli dalle orecchie.

«Non sono in dovere di farlo, Nott»

«Alexia è dentro quella stanza che sta andando a fuoco e Silente ha fatto evacuare tutta la scuola, nel giro di poche ore saranno tutti a Diagonal Alley per passare la notte, tu dovresti essere al suo posto» continua a parlare ininterrottamente.

La sua voce mi fa salire un senso di disgusto verso di lui. La voglia di compiere tutti i miei pensieri intrusivi su di lui è incontrollabile.
Deve dire solo un'altra parola e lui è morto.

«Se morisse sarebbe solo colpa tua, se solo morisse mi chiedo come potrai mai continuare a guardarti allo specchio con un peso del genere? Come potrai riguardare in faccia i suoi genitori dopo questo?» la sua voce si disperde nella mia testa.

Come se il mio capo venisse pressato tra due pareti.

«Nott, forse stai esagerando» è la voce di Malfoy a parlare.

Grande, biondino platinato, finalmente ci sei arrivato.

«Io starei esagerando?! Per colpa sua muoiono tutti! Lui è la fottuta reincarnazione della morte!»

Il mio silenzio dovrebbe essere un incentivo per farlo smettere di parlare ma il mio sguardo assassino non è abbastanza per fargli intuire anche solo lontanamente di quello che vorrei fargli.

«Theodore, smettila»

Malfoy, il nuovo supereroe che salva i deboli dai più forti.

«Come puoi anche solo difenderlo? Dopo che ha ucciso Tom e sua madre? Non era abbastanza il picchiarli per un'intera esistenza? E poi hai quella biondina psicopatica? Mi gioco 3 galeoni che sia stato lui a ridurla così»

La rabbia è talmente incontenibile che un forte mal di testa mi prende alla sprovvista. I suoi occhi verdi che mi sfidano sono un incentivo abbastanza valido per spingerlo a terra con tutta la forza che possiedo in corpo.

Il mio cuore inizia a pesare e sprofonda tra i tessuti del mio corpo.

Perché?
Perché ogni persona me lo deve rinfacciare? Forse credono che i sensi di colpa non siano abbastanza?
Eppure sono presenti, la rabbia che provo verso me stesso è incontenibile per la maggior parte del tempo.

Ogni volta che mi occhi si posano su uno specchio, rivedo quel bambino impaurito, dal pigiama a righe blu e bianche, che spera di diventare sordo.
Piange ma le sue lacrime salate non renderanno il mondo più giusto. Non faranno scomparire i pianti di suo fratello maggiore, che ogni giorno avrà un livido nuovo, più fresco, più viola.

La gente inizia a farsi delle domande e non appena incontravano gli occhi cerulei di mia madre la prima cosa che pensavano era che in casa ci fosse una situazione di violenza da parte del padre.
E allora perché picchiare solo la maglie e un figlio? Perché non anche il secondo?

Perché era lui l'artefice di tutto.

«Theo, ricordati quello che ti ha insegnato il dottore, non dare ascolto ai tuoi pensieri, conta fino a dieci e cerca di distrarti»

«No lasciami!» le mani ovunque, i suoi occhi sui miei.

È da un po' che non riesco più a controllare il mio corpo. Come se non fossi in me, come se non stessi facendo io in prima persona quelle cose.

Sonder // Mattheo RiddleWhere stories live. Discover now