36. Let Me Know

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Alexia

Giorno 18
Giovedì 21 novembre 1996 ore 02:00

È da un'ora che guardo l'orologio con insistenza e finalmente la lancette arrivano al punto in cui avevamo programmato.

Le mia testa sto contando i secondi.
Le pupille sono spalancate.
Non riesco a dormire.
Ultimamente non riesco a farlo da un po'.

I pensieri offuscano ogni angolo della mia mente e io non riesco a contenerli.

Sarò incapace io ma da quando sono arrivata qua a nel Regno Unito le cose sembrano peggiorare.

58.
59.
60.

È passato un minuto e nella stanza regna ancora il silenzio assoluto a volte interrotto dalla voce invadente dei miei pensieri.

Poi la mia mente proietta l'immagine di Eliza o Becka.

Non so ancora precisamente come dovrei chiamarla.
Il fatto che abbia mentito.
Il fatto che io non abbia ancora capito chi sia e cosa centri nel passato di Mattheo mi spaventa e mi rende ancora più vulnerabile.

Nel frattempo il tempo scorre e ogni minuto che mi lasciano da sola è tempo in cui la mia mente malata potrebbe fare di tutto.

Ho provato qualsiasi cosa.
Contare fino a 10.
Leggere.
Scrivere.
Disegnare.
Trovare un qualsiasi altro appiglio che non sia la trappola in cui cado ogni volta.

Come se la mia mente fosse stata programmata per quello.

Quella parte malata di me stava quasi per convincermi fino a quando non sento bussare.

Mi sento sollevata.
Leggera.
Non sono più sola e la mia mente ora sarà occupata a fare altro piuttosto che rimuginare su un passato dolente come una spina su un fianco.

Cammino verso la porta e la apro con un sorriso a 32 denti.

«Mi stavo chiedendo quando sareste arrivate» dico tutta contenta ancora prima di vedere chi realmente ci fosse dietro la porta.

E solo dopo averlo fatto mi rendo conto a chi ho appena rivolto la parola.

Il suo viso talmente pallido da sembrare malato.
Due borse viola che delineano che scavano gli occhi verdi ormai spenti da tempo.
Il viso mi sembra più scavato.
Mi sembra dimagrito.
Mi sembra un morto che è appena ritornato tra i vivi.

«Theodore» sussurro incredula su quello che ho appena visto.

Quasi mi sono presa paura.

«Alexia»

Il modo in cui pronuncia il mio nome mi blocca.
Sembra disperato.
Con una necessità di vedermi che superava ogni limite del normale.
Sembra sull'orlo di piangere ma si trattiene e varca la soglia della camera.

Mi guardo attorno e cerco un aiuto ma torvo solo una camera che sembra sia diventata troppo stretta per occupare il corpo di entrambi.

«Theodore sei sicuro di stare bene?» domando preoccupata vedendolo in quelle condizioni a dir poco pietose che creano in me solo un forte senso di pietà.

Lui nega col capo.

«È da quando mi hai lasciato che non sto più bene nemmeno con me stesso, mi sento solo e so che ho sbagliato ma permettimi di rimediare al mio errore»
la sua voce sembra stia pregando.

Lo guardo attonita con stupore.
A ogni passo che fa avvicinandosi verso di me percepisco il suo malessere mentale che si è riversato anche fisicamente impedendogli di fare anche solo una doccia.

Sonder // Mattheo RiddleWhere stories live. Discover now