44. The Little Rose

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Vivienne

Se qualcuno mi avesse detto quello che sarei andata a fare molto probabilmente non gli avrei creduto.
Ma se poi avesse aggiunto che in cambio avrei ricevuto l'identità di mio padre allora la cosa sarebbe stata più plausibile.

Per anni ho cercato un qualsiasi volto che sostituisse il punto interrogativo che c'era al posto della sua faccia. Voglio vederlo. Voglio vedere l'uomo che mi ha abbandonata.
Lo voglio far sentire in colpa di aver fatta nascere perché nonostante gli anni mi sento responsabile della morte di mia madre, sento il peso della sua vita sul mio corpo che cerca solo di esistere.

Chissà come sia...
Alto? Oppure più basso?
Io ho gli occhi di mia madre quindi non ho la più pallida idea di come ce li possa avere lui.
Mia madre aveva i capelli biondi ma contando che il mio colore naturale è un biondo cenere potrei dedurre che i suoi si avvicinino al castano.

Per tutta la mia infanzia mi sono ridotta a cercare di dare un volto a qualcosa di ignoto.
Ma nulla di quei futili disegni mi avrebbe più aiutato a dedurre come fosse realmente mio padre.

La voglia di incontrarlo è troppo forte e ora non riesco che a pensare ad altro.
Lo voglio fare.
Non ho nient'altro da perdere.
Forse è per questo che io e Becka ci siamo unite fin da subito. Eravamo migliori amiche perché entrambe abbiamo sofferto fin da piccole e quella che poteva essere la nostra speranza di salvezza si è trasformata in un'infanzia schiavistica.

Mi mancano i vecchi tempi con lei. Quando ci intrufolavamo nella camera di Tom e Mattheo senza farci beccare da loro padre.
Il ricordo di una notte si irradia nella mia mente e non lascia spazio ad altro.

Una notte quando io e Becka avevamo rispettivamente 10 e 11 anni stavamo andando in camera di Mattheo e Tom con la nostra coperta perché faceva particolarmente freddo.
Erano i primi di gennaio e io stavo facendo strisciare a terra la lunga coperta.
Becka mi aveva detto di tirarla su perché sapeva che se per sbaglio avessi urtato un mobile avrei potuto far cadere qualcosa e svegliare lui.
Io non le diedi retta, pensavo che avrei speso più energie e che sarebbe stato più faticoso.
Dopo neanche un minuto da quando mi aveva bisbigliato quel consiglio sottovoce, per errore urto contro un mobile e una foto incorniciata cade a terra frantumando il vetro.
Il momento di realizzazione fu minimo e un'onda di terrore prese a orticarmi la pelle.
Non respiravo più e stavo andando nel panico.
La gola secca e le lacrime che scendevano come fiume sulle mie guance.
Becka mi guardò con il suo sguardo malato ma affascinante che ho sempre trovato rassicurante sotto un punto di vista.
«Corri, va via e nasconditi sotto il letto»
Io erroneamente le diedi ascolto permettendole di prendersi la colpa di un qualcosa che non aveva fatto
Mi lenii la pianta del piede per colpa dei micro pezzetti taglienti in vetro della cornice ma quel dolore non su abbastanza soddisfacente per appagare la malinconia e il vuoto che provai quando vidi i suoi occhi scomparire dietro la porta che portava in cantina.
La cantina in cui ogni peccato umano sembrava a noi imputabile, in cui noi non eravamo altro che due orfanelle con un tetto sulla testa ma senza diritti di vivere un'esistenza serena.
Quella notte le sue urla non mi fecero dormire, così come la notte seguente e tutte le notti a seguire da allora.

La mia testa riprende il controllo di sé.
Sento di nuovo i miei piedi poggiati al terreno e devo dire che è un buon inizio.

A volte Becka mi parlava dell'amore di suo padre e di quanto le mancasse. Poi una volte la sfuggì detto che suo padre non era morto ma che continuava a vivere, finché sarebbe stato impresso dentro la sua testa lui sarebbe vissuto.

Non c'è mai stato nulla di normale in quella ragazza ma tutti abbiamo sofferto e dopo quella notte io le sono in debito.
Dio solo sa cosa succedesse la dentro, dentro quella cantina.

Sonder // Mattheo RiddleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora