CAPITOLO 3: Denise

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Dato che la vita non era tutta rose e fiori, mi trovai costretta a vestirmi per andare a lavoro.

-Donald.- feci un cenno con la testa al capo-reparto mentre andavo nel retro per la divisa. In realtà lavorare in un negozio di ferramenta non era nei piani della mia vita ideale, ma dopotutto mi servivano i soldi e considerando che non lavoravo tante ore al giorno potevo sacrificarmi.

Mi svestii canticchiando la prima canzone che mi girò per la testa, quando due manone a me familiari si appoggiarono sui miei fianchi.

-Ho fatto mettere le serrature alle porte delle docce...- sussurrò Donald, già baciando il fondo del mio collo.

-Mi dispiace... devo... devo lavorare.- mormorai spingendolo via da me per poi tirarmi su i jeans, ma lui mi bloccò.

-Sai che ti pago.- ringhiò riafferrandomi per i fianchi, ma quella volta lo fece violentemente.

-Io vengo qui per lavorare in negozio, non per fare la tua puttana!- sibilai girandomi di scatto, ma mi stupii di me stessa.

Non mi ero mai rivolta così a lui. Considerando che era un trasandato uomo di mezza età mi era sempre interessato per il semplice fatto che mi pagava, e pure bene, eppure quella mattina mi fece schifo la sensazione di sentire le sue mani sui miei fianchi.

Vidi il suo sguardo talmente incazzato che non potei non guardarlo terrorizzata, così presi velocemente la mia camicetta e corsi fuori dagli spogliatoi infilandomela mentre camminavo, sino a che, arrivata dietro al balcone vidi colui che proprio non mi sarei mai aspettata.

-Ciao!- esclamò lui, stranito sicuramente quanto me -Lavori qui?-

-Anche.- risposi frettolosamente, guardando se Donald fosse già alle mie spalle, mentre mi allacciavo sbadatamente la camicetta.

-La stai abbottonando male...- quella voce, cazzo, e quelle mani che si appoggiarono sulle mie per poter slacciare quei pochi bottoni che avevo chiuso frettolosamente.

Lo guardai incantata, mentre si concentrò a non aprire più di tanto la semplice e corta camicetta bianca che mi trovavo costretta ad indossare.

-Cosa ti serve?- gli chiesi spingendo via le sue mani appena captai la presenza di Donald.

-Mi si è rotta la lavatrice.- ridacchiò -Mi serve un tubo e lo sportello in vetro.- annuii sempre di fretta e lo guidai verso gli scaffali per ciò che cercava.

Dato che non trovavo gli articoli andai alla cassa e cercai fra il catalogo, ovviamente non c'erano -Mi dispiace, ma dovrei ordinarlo...-

-Va bene, ordina pure.- si appoggiò figosamente al banco con i gomiti e mi guardò con un sorriso accennato -Styles.-

Lo guardai stranita, ero talmente nel mio mondo che nemmeno avevo realmente capito cosa avesse appena detto -Cosa scusa?-

-E' il mio cognome.-

-Cosa sarebbe il tuo cognome?- quella meraviglia che i miei occhi stavano sbranando scoppiò a ridere, mentre sentii un evidente ringhio alle mie spalle.

-Styles, è il mio cognome.- ripeté e finalmente capii.

-Ah, ecco. Okay. Dovrebbe arrivare fra sei giorni.- risposi io facendo immediatamente l'ordine.

-Ti ringrazio. A presto allora.- mi salutò con un cenno della mano prima di andarsene.

-Adesso sei la puttana di quello?- dovetti trattenermi dal castrare quello schifoso uomo.

-Non dovrebbe interessarti. Non sono di tua proprietà.- sbottai fissando le mani al bordo del banco.

-Ammettilo dai. Vuoi scopartelo perchè è bello e giovane.- le sue mani tornarono sui miei fianchi e mi salirono miliardi di schifosi brividi.

❇ My Temporary Fix ❇Where stories live. Discover now