Capitolo 47

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Reflection 2.0

Urla. Il mondo urlava nella sua mente.
Portò le mani sulle orecchie per non udire più quelle dannate voci, ma tutto era vano. Esse invece aumentarono. Chiedevano ed imploravano aiuto.
Si odiava così tanto.
Poteva udire la sofferenza della gente, ma non poteva aiutarla.

Guardò il veleno verde dinanzi a sé, amava i veleni, non sapeva esattamente perchè, ma erano così misteriosi ed affascinanti dinanzi ai suoi occhi maledetti dal demonio.
Si avvicinò alla coppa, la portò vicino alle sue labbra, ma non la buttò giù interrotto da una voce diversa dalle altre

«Namjoon, non complicare le cose e posa quel cazzo di calice.»

Il ragazzo sobbalzó udendo quella voce quasi rabbiosa, si guardò attorno terrorizzato mentre la voce a lui estranea continuava a parlare

«Seokjin ha bisogno di te. Devi guidarlo, puoi farlo solo tu!»

Seokjin... Il mutante aveva già sentito questo nome, anzi più che sentito... Lo aveva appreso leggendo anni fa la mente ad un ragazzo che si era presentato sul suo posto di lavoro, ricordava ancora quell'incontro perché fu davvero strano. Il ragazzo alla guida della macchina, il cui nome era appunto Seokjin, lo aveva chiamato per nome con fare interrogativo domandandogli anche cosa ci facesse lì, Namjoon dopo aver udito quella stranezza decise di leggergli la mente apprendendo qualcosa di davvero strano, fin troppo strano.

Namjoon posò il calice della morte ed uscì fuori dalla sua casa, che più che casa era un camper.
Guardò la zona desertica ancora confuso a causa di quella voce.
Inspiegabilmente si ritrovó a pensare a suo fratello e al grosso sbaglio che aveva commesso: l'aveva abbandonato nel momento del bisogno, quando gli implorava aiuto con le braccia dietro la schiena, i capelli scuri bagnati e quelle cose maestose dietro la schiena che venivano recise via tra urla di tormento.
Cosa aveva fatto lui? Nulla. Era scappato via, ma nonostante ció nella sua mente poteva ancora udire le urla di supplica del ragazzo.
Quel giorno era il giorno in cui il fratello fu maledetto dal diavolo (o dal Signore?).
Cosa aveva fatto lui? Era scappato troppo impaurito del futuro a lui non noto.

Quel ricordo gli fece venire una crisi associato alle voci di dolore che continuavano a parlare in modo vorticoso nella sua mente. Il ragazzo esasperato iniziò a correre senza una meta apparente, il mondo gli pareva così confuso, i suoni erano del tutto ovattati.

Voleva tanto saper amare.
Voleva tanto aver aiutato il suo unico amico e fratello.
Avrebbe tanto voluto fare diverse cose.

Ma era troppo tardi?

Dopo quasi un'ora il giovane si ritrovò dinanzi ad uno strano edificio apparentemente abbandonato, ma che in realtà custodiva un terribile segreto: lì vi erano mutanti, usati per essere studiati e poi uccisi. Cosa ci facesse lì non lo sapeva nemmeno lui, le gambe avevano percorso la strada da sole, come se fosse destinato ad andare lì.
Una donna minuta dai capelli castani spalancó la porta restando sorpresa nel vedere il ragazzo.

Namjoon seguì la minuta donna, se esternamente la struttura sembrava abbandonata, all'interno sembrava la cosa più moderna del mondo.
Curiosando con lo sguardo intravide diverse stanze con diversi letti, stranamente erano vuote, ma il signore dei metalli ebbe la sensazione che in realtà quelle stanze avrebbero dovuto appartenere a qualcuno.

La donna lo portó in una stanza dove accomodato gli fece diverse domande sul presente e sul passato.
«Kim Namjoon. Vent'anni, orfano. Telepatia e controllo dei metalli. Hai provato ad uccidere un familiare con un veleno.»
«Sì.» il ragazzo lesse la mente di quella donna, aveva come chiodo fisso un ragazzo di nome Hoseok.
Subito dopo il ragazzo curiosó tra le menti della struttura e si stupí quando non trovò nulla nelle circostanze.
Il ragazzo guardò la donna minuta un po' preoccupato, perché le sue gambe lo avevano portato lì? Non aveva senso.

«Salva Hoseok.» la voce di prima si ripresentò lasciandolo confuso maggiormente.

Mama 2.0

Dieci anni prima.

Perché gli oggetti nella stanza hanno cominciato a fluttuare?
Che mi sta succedendo? Sono così confuso...

Il volto di una madre disperata nel vedere il proprio figlio tramutare in un demone era la cosa più brutta del mondo. Anche lui faceva parte dell'altro mondo, quello governato dall'oscurità, quello in cui la crudeltà era la padrona di tutto.
Il giovane bambino non capiva la disperazione della madre, perché voleva ucciderlo a tutti i costi? E perché se voleva ucciderlo piangeva già addolorata dalla sua morte non ancora avvenuta?

Il mondo fluttuava ed era tutto così dannatamente confuso.

Il bambino si ritrovò a scappare da quella che aveva considerato il suo luogo sicuro. Corse piangendo senza alcuna meta mentre le urla della madre continuavano a risuonargli nella testa.

Mostro, demonio, figlio di Satana.

Si potevano dire tali parole ad un innocente bambino di dieci anni il quale era terrorizzato e confuso a causa dei fenomeni paranormali?
Mai si sarebbe aspettato di esserne la causa.

Il bambino che era denominato dai suoi compagni "raggio di sole" per via del suo perenne sorriso allegro corse più che poteva con mille dubbi, paure...

Il giorno dopo finì in orfanotrofio dove trovò altri bambini marchiati dal demonio.

Crescendo il raggio di sole apprese chi fosse realmente. Quando toccava le persone marchiate dal diavolo riusciva a "risucchiare" la loro rovina fino al momento in cui non toccava un altro marchiato.
Era il più veloce di tutti.
Riusciva anche a mutare la gravità.

Anche lui faceva parte del secondo mondo, quello oscuro, dove il soffrire era una cosa naturale.

Mi dispiace mamma.

Presente.

Colui che un tempo era il raggio di sole giaceva privo di emozioni steso sul pavimento bianco della sua stanza. Sapeva bene che qualcosa esternamente stava succedendo, ma a lui tutto ciò non importava.
Nella stanza tutto era sospeso in aria quel giorno, solo il ragazzo era saldo sul pavimento fin troppo luminoso.

Hoseok si sentiva così vuoto, per lui nulla aveva senso.
Era rinchiuso lì da due anni, in precedenza si trovava altrove e ancor prima era in un orfanotrofio. Era sempre stato solo negli ultimi anni, lontano da tutti e tutto. L'unica persona che gli faceva quotidinamente visita era una donna bassa e dai scuri capelli.

Lui era stato il primo a giungere in quel luogo, gli avevano detto che avrebbe trovato la felicità, ma ovviamente tutto ciò era una menzogna.
Col trascorrere del tempo vide quel posto svilupparsi lentamente sino a diventare una vera e propria prigione ove l'unico prigioniero era lui.

«Hobi. Presto potrai avere un compagno di stanza... sono certo che stringerai amicizia!»
Il ragazzo si sollevò mettendosi seduto, lentamente gli oggetti fluttuanti tornarono al loro posto.
«Compagno?»
«Sì piccolo, vedrai che tutto andrà bene adesso...» rispose la brunetta da dietro la porta, c'era una piccola finestrella aperta.
Il ragazzo si guardò attorno con fare bambinesco «Vorrà giocare con me?» «Lo farà, Hobi.»

La sua mente era così confusa, così..
Indefinibile. Non sapeva davvero cosa volesse. Non gli importava più avere una famiglia o degli amici, ma allo stesso tempo li desiderava così ardamente.

«Perché è quí?»
«Perché è come te.»
Hoseok si mise a gattoni e si avvicinò alla porta poggiando successivamente il volto su quella fredda superficie «Farete del male anche a lui?»
«Piccolo... noi non vogliamo farti del male, vogliamo solo aiutarti. Hai passato la tua intera vita sotto sofferenze, noi vogliamo dare fine a tutto ciò.»
«Non c'è modo per colmare la mia sofferenza. Nessuno.»
La donna sospirò dispiaciuta per quel ragazzo, si era affezionato a lui e voleva seriamente aiutarlo in tutti i modi possibili. Vederlo in quel modo in un certo senso la uccideva.
Spesso la donna si domandava se tutto ció fosse giusto, ma non aveva scelta ormai. Era già troppo tardi per qualsiasi cosa.

Hoseok sollevò il capo in direzione della finestrella e sussurrò «Mamma...»
«Ti salverò Hobi.»

Mutants || BTS ||Where stories live. Discover now