4

848 63 18
                                    

Dicono che più cerchi di non pensare a una persona, più essa si insinua in ogni fessura del tuo cervello. Fa rumore, ti graffia, ti rende nervoso e tu sai che è lì, nei tuoi pensieri a prendersi gioco di te.

E' per questo che durante la notte, dopo il lavoro, non ho fatto altro che pensare all'incontro con gli ospiti di Paul. Un incontro all'apparenza innocuo, ma strano. Per non parlare del nipote, quello con gli occhi verdi che ho cercato di ripescare nei ricordi più remoti della mia mente, con scarsi risultati. Avevo avuto quella strana sensazione di averlo già incontrato, di aver già visto altre volte quegli occhi chiari e quasi magnetici. E le parole in spagnolo del signor Thomas, mi avevano dato una sottospecie di allarme mentale.

Ho nello stomaco uno strano punzecchio d'ansia che mi fa toccare con la punta dei piedi, i pensieri più profondi dei miei abissi interiori.

Non trovo alcun nesso con il mio passato, nè una certezza di chi possano essere quelle persone. Ma per adesso, ho deciso di aprire una bottiglia di vino bianco e di godermi il mio giorno libero.

Quando stappo la bottiglia, però, un leggero bussare alla porta del mio appartamento si mischia con il rumore del tappo. Lascio tutto sul bancone della cucina e vado a guardare dallo spioncino, di chi si tratta.

Non appena apro la porta, la mia sorpresa è evidente anche nel modo in cui pronuncio il suo nome.

«Paul?»

Mi sorride grattandosi la nuca.

«Ciao Hailey, spero tu non sia impegnata. Dovrei parlarti di una cosa importante. Posso ehm... entrare?»

Tentenno qualche secondo, prima di spostarmi verso sinistra - ancora non del tutto convinta - per lasciare che entri.

Si guarda intorno nel frattempo che richiudo la porta alle mie spalle e mi dirigo poi in cucina. Non mi piace per niente l'idea che io l'abbia fatto entrare in casa mia, poichè ho sempre preferito tenere tutti alla larga dai miei posti personali, per ovvi motivi. Però, non mi sono sentita di lasciarlo fuori. E' il mio titolare di lavoro, ecco. Non avrei potuto.

Torno in salone, con un calice anche per lui e lo trovo ancora in piedi, stretto nel suo completo elegante.

Sto tentando in un modo assurdo ed impossibile, di capire al volo cosa vuole dirmi. Per esser qui, deve trattarsi di qualcosa di urgente, forse qualcosa di grave. Magari vuole licenziarmi?

«Accomodati.»

Sorride alla mia richiesta e si siede sul divano lasciando qualche breve distanza tra noi. Successivamente si toglie la giacca e la adagia sul bracciolo alla sua sinistra.

«E' un bell'appartamento. E' tutto tuo?»

«Sì. Solo mio.»

Prende il bicchiere di vino che gli porgo e ne dimezza il contenuto in un chiaro tentativo di smorzare l'aria tesa, di impegnare il silenzio.

«Stai bene? Sei strano.»

«Sì, sto bene, scusami. Sono solo a disagio perché sei una mia dipendente e di solito non vado a casa dei miei dipendenti.»

Ridiamo insieme e allungo il braccio poggiando il bicchiere sul tavolino da caffè.

«E cos'è che ti ha spinto a rompere questa regola?»

«Hey, che fai, mi prendi in giro?»

Alzo le mani teatralmente fingendomi innocente.

«Vedi, si tratta dei miei ospiti di ieri sera. Hai decisamente catturato la loro attenzione.»

Alzo le spalle, «in che modo?»

Lascia il calice accanto al mio, «mi hanno chiesto di portarti con me ad una festa. Si terrà tra qualche giorno nella villa di Thomas Delgado.»

𝘿𝙚𝙫𝙞𝙡'𝙨 𝙂𝙡𝙤𝙬 || hsWhere stories live. Discover now