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«Andiamo, vieni.»

Alzo gli occhi alla figura di Candice che sul ciglio della strada, stretta in un vestito nero e i capelli così biondi e chiari che mi pare un angelo, mi porge la mano. Le labbra strette tra loro in uno sguardo di compassione, in un astratto sorriso che mi dice "io sono qua, io ci sono."

Prendo un grande respiro, liscio il mio vestito altrettanto nero e annuisco verso lei. Scendo gli ultimi gradini e afferro la sua mano. Vorrei poter esprimere quanto sia grata di averla ora vicina, ma non sorrido, non muovo le labbra, deglutisco cercando di mandare giù il magone che s'è fermato in gola da quando lui ha pronunciato l'ultimo respiro, regalandomelo, schiantandolo sul mio viso, dedicandomelo. Vorrei che il macigno che ho sul petto, si liberasse, sciogliesse, e invece è lì imperterrito, ma senza creare pesantezza, solo un gran mattone di vuoto.

Attraversiamo la strada, il portone del palazzo è aperto, il muro adiacente ad esso è colmo di gente, di qualche parente che piange, qualcuno è rassegnato e seduto sul ciglio del gradino abbandonato al dolore, a sè stesso. L'aria è ferma per tutti, il cielo spruzzato da qualche nuvola, gli uccelli non cantano, le macchine stanno zitte, il tempo sembra essersi fermato, oggi. Mentre io avrei voluto che si fosse fermato quando io e Jake eravamo nel nostro posto a parlare di dove siamo arrivati, di dove saremmo voluti essere. E lui era proprio dove voleva, per questo il suo bellissimo sorriso era sempre stampato sulle sue labbra. Non sono mai riuscita a capire quale fosse il segreto per tenerlo costante, solo ora ho compreso. Era soddisfatto di ciò che aveva, di dov'era, felice di chi era. E meraviglioso era e sempre rimarrà nel mio cuore.

Lui, che mi ha salvato la vita e ora non ne ha più una per sè.

«N-non», la mia voce trema quando mi fermo davanti il portone lasciando la mano di Candice.

Mi resta accanto, si riprende la mia stretta. «Ce la fai.»

La delicatezza nella voce di Candice, mi fa venire i brividi. I miei occhi li sento stanchi, pieni di lacrime, li alzo su nel cielo, sto desiderando di volare lì proprio dov'è lui adesso, ovunque egli sia.

Saliamo le scale fino al secondo piano e devo fermarmi di nuovo. Mi gira la testa e mi passo una mano tra i capelli appoggiandomi al muro e cercando di regolarizzare il respiro, di far smettere al mio cuore di sgretolarsi.

Non percepisco la lacrima sul mio viso, finchè non è Candice ad asciugarla.

I suoi occhi non mentono, il suo sguardo mi dichiara che è totalmente sorpresa nel vedermi così senza difese, senza muro, fragile e spezzata. E sta cercando di tenermi in piedi, di tenermi le poche forze che mi restano dopo aver pianto tutta la notte, dopo aver gettato in pasto all'aria ogni emozione, ogni rabbia, dopo aver distrutto ogni cosa mi capitasse a tiro, dopo aver urlato, dopo aver sciolto ogni nodo al pozzo interiore che conservava le mie lacrime.

Candice mi accarezza le spalle ricurve, e mi guarda negli occhi. «Quando vuoi.»

E da quel quando vuoi passano decine di minuti in cui so che mi bastano gli ultimi due gradini per poi entrare da lui. Ma mi sento immobilizzata da quella presenza assente in casa, che mi attende, che si subisce i pianti che sento da fuori, i cuori che si schiantano tra le mura, i baci che gli volano sulla pelle fredda, e che vorrei poter riportare in vita.

Quando mi decido e prendo un altro dei numerosi grandi respiri, che non servono a ristabilirmi, ma mi convincono che posso farcela, annuisco verso Candice e stacco la schiena dal muro. Ma proprio in quel momento, una voce, che sembra quasi un lamento torturato, vuoto e poco controllato, mi stona l'anima.

«Hailey...»

E' Charles a chiamare il mio nome da qualche gradino più giù. E' lui a chiedermi di farcela perchè da solo non può, perchè gli occhi grandi che ora mi stanno guardando spenti, hanno bisogno di qualcuno che li faccia rimanere a galla. Anche se questo, significa annegare me stessa.

𝘿𝙚𝙫𝙞𝙡'𝙨 𝙂𝙡𝙤𝙬 || hsWhere stories live. Discover now