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«Alison.»

Sospira sbattendomi in faccia il mio nome. Me lo fa arrivare come vento tagliente, come neve che congela ogni pensiero.

«Andrès.»

Mi scruta affondo sottolineando nella sua mente ogni mio dettaglio; dedica l'attenzione ai capelli, agli occhi, al collo, a ogni parte del mio viso. La sua espressione è quasi incredula, come avesse appena visto uno spettro, o come se fosse lui a scoprire dopo tanti anni che in realtà sono io quella ad esser ancora in vita. Poi il viso sconvolto, contratto nell'incredulità, cambia e diviene morbido luccichio, vaga inquietudine di una nota di malinconia astratta.

Muove impercettibilmente le labbra, forse con l'intento di dire qualcosa di diverso che non sia di nuovo il mio vecchio e reale nome. Ma non una nota, non un accenno, non un lamento, lascia la sua gola. Deglutisce sotto alla barba, le ciglia lunghe mi ricordano perché mi ero innamorata dell'allora ragazzino che avevo conosciuto al tramonto sulla spiaggia di Alicante.

Ma il mio stomaco contorto nell'ansia, nell'accumulo di emozioni forti e contrastanti, mi ricorda invece chi è ora: il nemico.

E mentre lo penso, le sue pupille si muovono e guardano in basso. E di nuovo deglutisce, questa volta per la paura di ciò che realizza. Le mie dita sono strette attorno alla mia calibro e siamo così vicini che il solco della canna riesce ad appoggiarsi perfettamente contro il suo addome.

Ma non si scompone, non si muove. Sono io a tremare.

«S-sei qua?»

Lo chiede balbettando, con l'anima scomposta e la voce matura e vuota, rauca e bassa, che si sperde nella stanza.

Alza lentamente una mano, con le dita tremanti che si avvicinano alla mia guancia mentre io incapace di muovermi, lascio che i suoi polpastrelli mi sfiorino. «Credo d'esser impazzito del tutto.» All'improvviso ritrae il tocco compiendo un passo indietro e distanziando così, fortunatamente, i nostri corpi. «No, non sono impazzito. Sei qua.»

«Sì» aggrotto le sopracciglia segretamente confusa dai suoi gesti e dalle sue parole. «E tu dovresti essere morto.»

«S-sì, ma tu...» cerca di risolvere la lotta interiore assottigliando lo sguardo particolarmente incredulo, come il tono delle parole quando sospira un «anche tu.»

Una risata poco divertita, mi trema incontrollata nel petto.

«Io? Vuoi farmi credere che pensavi fossi morta? Io?!» Scuoto il capo, non posso crederci. «E chi sarebbe così stupido da smuovere delle ricerche per cercare una persona che crede morta?»

«Di che stai parlando?»

«Dai su, puoi anche smetterla di dire cazzate, puoi anche evitare di fare questa sceneggiata. So come stanno le cose.» Tendo il braccio e la pistola lo fa trasalire un'altra volta. «Volevi trovare il colpevole di quei proiettili che, a quanto pare, non ti hanno ucciso. Hai creduto fossi stata io, ma ti assicuro che non è così. Perciò, grande! Hai reso la mia vita un inferno per un'ipotesi, per un'idea sbagliata.»

Il suo viso cambia aria in un secondo. Scoppia la bolla di stupore e malinconia che lo avvolgeva, per lasciar spazio a un'agitazione che si staglia nello sguardo e sprigiona la tensione tra noi. Con una sola grande e fulminea falcata è di nuovo a un palmo di distanza da me, da un colpo alla mia mano e fa volare via la mia pistola.

Ci risiamo.

Non mi faccio cogliere impreparata e lo colpisco nello stomaco per poi atterrarlo. E' steso sul pavimento con l'espressione indolenzita ma non demorde, i suoi occhi cercano di tenermi calma e in qualche modo assurdo e spaventoso bloccano le mie mani a un centimetro dallo spingersi a stringergli il collo.

𝘿𝙚𝙫𝙞𝙡'𝙨 𝙂𝙡𝙤𝙬 || hsWhere stories live. Discover now