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Brooklyn a sera inoltrata – come ogni altra città – è per chi torna da lavoro, per chi rincasa dopo aver fatto compere, o per chi decide di uscire e di mangiare un hot dog al volo comprato da qualche ambulante lungo la strada che incappucciato fino agli occhi, stringe i denti per arrivare poi a fine mese. Brooklyn di sera è anche per chi si sente solo, per chi se ne sta seduto davanti alla finestra a guardare la neve cadere giù leggiadra. E' per i passanti che si soffermano invece, a guardare la gente felice riunirsi dentro alle proprie abitazioni, mentre loro sono dall'altro lato della strada a invidiarli, a farsi strappare un sorriso amaro e imbrattato di assenze.

Brooklyn di sera però è anche di chi si sta dirigendo verso la zona residenziale di fronte a sé, sotto una luna che gli è complice e non si nasconde. L'accompagna a ogni respiro appesantito, a ogni passo gelido e agghiacciante, come l'aria. Brooklyn di sera è anche di chi si è spogliato della tristezza cucendosi addosso un vestito che ha il colore solo della vendetta.

Quella che sento nelle vene, nelle mani, nella mente, infatti ora è solo adrenalina, puro gelido orrore che mi fa vedere tutto nero. Questa volta controllato, così immoralmente giusto. Attraverso la strada, camminando ora sui segni delle ruote di macchine che hanno indebolito la fitta neve con il loro passaggio, lasciando il ghiaccio a scricchiolarmi cristallizzato sotto agli scarponi stringati.

Mi guardo attorno cercando di cogliere un movimento, una presenza; ma non vi è anima viva in giro, nemmeno la mia.
Se qualcuno mi vedesse, son sicura apparirei come un animale lento, annoiato, come un gatto che pigramente sfila zampettando in solitudine. Ciò che non sanno è che dentro ora ho un leone affamato di una testa in particolare.

Giungo dinanzi alla porta, tolgo il cappuccio e sbircio attraverso le finestre adiacenti ad essa, anche se so che chi cerco potrebbe star dormendo o potrebbe starsi nascondendo o forse è proprio fermo lì ad aspettare il mio arrivo. Non suono, non sono di certo in visita conviviale. Per questo, senza esitazione o senza preoccupazione, con una gomitata rompo il vetro della finestra e sono dentro.

Se prima era il ghiaccio a scricchiolarmi sotto agli scarponi, ora sono i cocci di vetro sui quali cammino. Ci sono due applique su una parete colma di quadri, che illuminano per quanto possibile, questa casa. Sento improvvisamente un rumore di sopra e so che tra poco il mio pasto scenderà a controllare. E' per questo, che intercettando il divano, vado a sedermi su di esso.

Appoggio un braccio sul bracciolo, mentre l'altro rimane sospeso con la mano aperta che lascia roteare tra le dita la pistola. Accavallo una gamba, e il salotto si illumina di botto. Per un pò, nessuno fa il suo ingresso dalla scala in legno che si trova praticamente a pochi mattoni da me, non un rumore, non un passo. Ma c'è un respiro, che dopo attimi di puro velenoso silenzio mi raggiunge, che mi fa spuntare un ghigno del quale anch'io stessa, avrei paura.

«E' così che accogli gli ospiti?»
Punto gli occhi sullo specchio ovale appeso alla parete di fronte a me. Lui è in piedi, i capelli frastornati dal precedente sonno e un viso particolarmente preoccupato. La sua pistola, punta alla mia testa.
«Non mi offri nemmeno del thè?»

«Ti consiglio di andartene biondina, non voglio fare altre vittime.»

«Nessuno farà vittime... forse.»
Fermo il roteare della mia arma mentre lo vedo spostarsi fino a camminare davanti alla mia figura ancora seduta. Resta con la pistola puntata a me, e impunta i piedi nudi al grande tappeto sotto di noi.
«Però speravo che potessi darmi delle informazioni.»

Aggrotta le sopracciglia confuso, oltrechè preoccupato. «Di che stai parlando?»

«Bene», ghigno posando la calibro sul cuscino malposto di fianco a me, «vedo che ti interessa ancora interagire da essere umano.»

𝘿𝙚𝙫𝙞𝙡'𝙨 𝙂𝙡𝙤𝙬 || hsWhere stories live. Discover now