22. AL PARCO

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Decisi di uscire dalla finestra, usando il grande albero che allungava i rami verso la mia stanza. Era una scelta dettata dalla prudenza, non volevo che Megan oppure Anne mi vedessero e si chiedessero dove stessi andando. Non avevo un motivo per uscire. Ridacchiai tra me e me. Sapevo che poteva essere pericoloso. Se fossi caduta, beh, avrei potuto rompermi una gamba o peggio. Mi sollevai leggermente la maglia lunga che avevo scelto di mettermi. Un tempo era stata di mia madre, come gran parte dei vestiti carini che avevo nell'armadio. Lo avevo trovato in uno scatolone in cantina. Salii sul davanzale, la borsa appesa alla spalla, dentro alla quale avevo messo la bambola viaggiatrice. Perché mi ero vestita così elegantemente? Allungai le mani e afferrai il ramo più vicino. Volevo essere carina per lui. Il pensiero mi percorse come una scarica elettrica, con tanta violenza che per poco non persi la presa e non caddi. Strinsi con maggiore forza. Non potevo permettermi errori. Mi spinsi sul ramo, quindi mi calai su uno più basso e via dicendo, fino a quando non fui abbastanza vicina alla terra. Ora avrei potuto saltare giù e... una voce mi gelò. Restai immobile, il cuore che cominciava a battere più forte. Ero rannicchiata sul ramo, le ginocchia premute contro il mento, le mani strette al legno, le piccole schegge che mi si conficcavano nei palmi, ferendoli. Feci una smorfia. Non avrei potuto resistere ancora a lungo.

-Cosa vuol dire che non ci possiamo vedere?- la voce di Anne vibrava di collera. I tacchi dei suoi stivali Loubiton ticchettavano violentemente contro il terreno. -No, no, no! Voglio vederti, Algol!- si fermò proprio sotto il mio ramo, tanto che potei vederle la ricrescita scura dei capelli... quando si dice la fortuna. Le mani mi sudavano. Per quanto avrei potuto ancora resistere? Strinsi i denti. Io odiavo la ginnastica, non ero per nulla allenata...

-No! Io voglio vederti!- protestò ancora Anne. Lottai contro la voglia di staccare un rametto e lanciarglielo in testa. Sarebbe stato poco prudente. -Non ci provare a tradirmi con un'altra, eh?-

Mi sentii scivolare. Con orrore compresi che non sarei riuscita a stare in equilibrio ancora per molto. Panico, puro panico che mi artigliava lo stomaco.

-Va bene- la voce di Anne si era fatta più dolce. Mi chiesi che cosa avesse potuto dire lui. -Certo, certo, ti amo tantissimo... lo sai che sei la mia vita, eh?- e continuando con queste sciocchezze si allontanò rapidamente.

Quando fu sparita dalla mia vista mi lasciai scivolare giù, con un sospiro di sollievo. Tutto il mio corpo tremava per lo sforzo che avevo fatto per rimanere in equilibrio. Mi allontanai in fretta. Algol stava parlando con Anne. Il pensiero mi confondeva. Perché rinunciava a un'uscita con lei per vedersi con me? Possibile che... no, non dovevo illudermi. In fondo non era necessario che capissi, forse Algol andava oltre l'umana comprensione. In fondo Algol era un demone. Sentii un brivido gelido che mi percorreva la schiena, mentre le sneakers blu affondavano nella ghiaia. C'era qualcosa di strano. Probabilmente non avrei dovuto vedermi con lui. Magari si era stufato della mia sorellastra, forse voleva solo giocare con lei, come il gatto con il topo. E ora la sua attenzione si era spostata su di me. Il ricordo dell'incontro nello studio di mio padre però era ancora pulsante. Noi due così vicini da baciarci... quanto avevo desiderato un solo bacio... m'incamminai, il pensiero di quell'attimo impresso per sempre nella mia anima.

Arrivai al parco in anticipo. Il cielo era plumbeo e un vento gelido muoveva le chiome degli alberi. Una giornata triste, mi ritrovai a pensare. Mi guardai attorno, ma non c'era traccia di Algol. Dopo una breve esitazione mi andai a sedere su una panchina, poco lontana dall'ingresso, in modo tale che lo avrei visto non appena fosse arrivato. Il sole illuminava l'erba verde. Mi ritrovai a osservare un gruppo di ragazzini che giocava poco lontano. Una bambina dai capelli scuri faceva saltare una palla per aria e un suo coetaneo con i capelli rossi cercava di prendergliela. Sentii una fitta di nostalgia allo stomaco, come se un passato molto lontano, che avevo cercato disperatamente di dimenticare, fosse tornato a chiedere il conto. Un tempo andavo spesso in quel parco con mia madre. Cercai di rievocare la sua immagine, ma era sfocata. I suoi tratti si confondevano nella mia mente. A volte aveva i miei stessi zigomi poco pronunciati, altre erano alti, a volte i suoi boccoli erano biondi, altre erano corvini. Ricordai le parole di mio padre. Lei mi assomigliava molto... troppo. Sbattei le palpebre, scacciando le lacrime. Non dovevo piangere. Spostai lo sguardo verso l'ingresso del parco. La stradina di ghiaia bianca era deserta. Dove si era cacciato Algol? Perché ritardava? Poteva essere uno scherzo? Deglutii, cocci di terrore nella gola. Non dovevo dimenticare che lui era un demone e che, come tale, era bugiardo. Non ci si poteva fidare di lui. Una coppietta passò a pochi metri da me. La ragazza, alta e bionda, era aggrappata al ragazzo e lo stava riempiendo di baci. Distolsi lo sguardo con una smorfia. Odiavo le effusioni in pubblico. E poi l'eterna domanda si fece strada in me. Cos'avevo io di sbagliato? Perché nessuno s'innamorava di me? Perché non riuscivo a fidarmi? Uno scricchiolio di passi mi fece sorridere, un sorriso involontario, che repressi immediatamente. Il demone era arrivato. Alzai lo sguardo e lo incontrai. Algol mi fissava con quei suoi occhi che parevano volerti leggere dentro, che riuscivano a farti sentire nuda e svuotata. Mi costrinsi a guardarlo, nonostante la sensazione che mi procurava. Algol avanzò, il sorriso crudele, la maglietta nera e i jeans strappati. I capelli neri gli scivolavano sul viso, in perfetto disordine. Si fermò a un passo dalla panchina. Intrigante come la tentazione.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now