63. ABITO E SCARPE

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Nessun vestito andava bene. Feci una smorfia, lo sguardo perso sull'ultimo modello che indossavo. Lungo, con la coda, fasciante. Blu scuro. No, non mi piaceva per niente, mi faceva sembrare grassa.

-Non è male- commentò mia madre, seduta sul mio letto.

-Non mi piace- mormorai.

-Ti ci vorreste l'abito che ho usato al mio ballo di fine anno- dichiarò -Aspetta, devo avere una fotografia- si alzò, andò a frugare in un cassetto, tornò con la foto in mano.  Me la porse e io aprii la bocca dalla sorpresa. Era bellissima il vestito era lungo, rosa, glitterato. Mia madre, molto giovane e tremendamente somigliante a me, sorrideva appena, i capelli raccolti in uno chignon, un mazzo di rose bianche in mano.

-Sei bellissima- sussurrai, sincera.

-Sarai bellissima anche tu- mi disse.

Io non ci credevo e poi mi venne un'idea. Bollente e pericolosa come il fuoco.

Avevo conservato un paio di chiavi della casa di mio padre

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Avevo conservato un paio di chiavi della casa di mio padre. Era mio diritto, no? Lanciai uno sguardo all'orologio di pietre preziose che avevo al polso –un regalo di mia madre. A quell'ora non avrei dovuto trovare nessuno in casa.

Dovevo solo sgusciare dentro, prendere il necessario e raggiungere Algol nella vecchia scuola, dove si svolgeva il ballo. Era una cosa semplice. Molto semplice. Allora perché mi sentivo così nervosa? Il battito del mio cuore accelerava. Non sarebbe andato storto nulla, di questo ero sicura.

Entrai di soppiatto. La casa era silenziosa. Salii le scale e scivolai dentro la soffitta. L'abito era dove lo ricordavo, dentro l'armadio. La sensazione di sollievo fu quasi dolorosa. Lo indossai rapidamente. Era semplicemente perfetto. Lo stesso che aveva usato mia madre per il suo ballo di fine anno. Potevo ancora sentire il suo profumo.

E poi mi resi conto che mancavano le scarpe. Mi guardai intorno e le vidi.  Erano state anche quelle di mia madre.  Sembravano fatte di cristallo. Mi fissai allo specchio, lo sguardo di una sconosciuta. Ecco. Ero come la bambola che viaggiava per il mondo. Completamente cambiata.

Mi sistemai i capelli con un sorriso, ora dovevo solo... un colpo alle mie spalle. Sentii un brivido lungo la schiena. Il mio incubo stava diventando realtà. Mi voltai e incontrai lo sguardo della mia matrigna.

-Bene, bene, abbiamo una fuggiasca- esclamò, lo sguardo infuocato. I capelli biondi le ricadevano sul viso pesantemente truccato.

-E se anche fosse?- le chiesi. Una rabbia sorda, esplosiva, senza nome, mi percorse le vene, mischiandosi con il sangue, diventando parte di me, macchiandomi il cuore. Ero furiosa per tutte quelle ingiustizie che avevo dovuto subire in silenzio.

-Sei un'ingrata, io ti ho sempre trattata come una figlia e tu... ti sei comportata così... sei stata crudele- fece una smorfia. L'abitino color panna che indossava la faceva sembrare quasi una ragazzina.

-Ho preso da te la crudeltà- replicai, furiosa. Lei la vestiva, la portava come un vanto, le splendeva sulla pelle. Mi chiesi chi fosse stata un tempo Megan, la modella, la ragazza che, come ogni tanto raccontava, aveva iniziato dal nulla. Aveva mai amato? Si era mai sentita infelice? Aveva mai provato compassione? Inspirai. Quella era la resa dei conti, compresi, dita gelide che mi percorrevano l'anima. –Sei crudele- le gettai in faccia –ma non penso che a te importi davvero- continuai, la voce assurdamente calma –ti piace tanto nutrirti del dolore altrui? Ti soddisfa così tanto?-

Un'ombra passò sul viso di Megan e per un attimo, un attimo soltanto, mi chiesi se avessi scalfito quel suo cuore di ghiaccio. Il momento però passò e Megan ritornò la solita Megan. –Io sono soddisfatta di ciò che sono- disse la mia matrigna, il tono tagliente come un pugnale –sei sempre stata problematica, Sherry, tu e Anne eravate il mio tallone d'Achille- fece una smorfia che stropicciò, per un attimo solamente, il suo viso perfetto.

-Portiamo entrambe i segni sulla pelle- gli ricordai. Ovviamente però lei ricordava. Megan non dimenticava mai nulla.

-Io ho solo cercato di migliorarvi- scrollò la testa, come se fosse stanca di tutte quelle parole, come se la infastidissi.

-Sei la matrigna rubata da una fiaba- sussurrai.

Lei sbuffò. –La cattiveria bisogna saperla portare, cara- e poi successe, così rapidamente che quando me ne resi conto ormai non potevo più fare nulla. Balzò indietro, rapida come la serpe che era, la mano destra si agganciò alla maniglia. Lanciai un grido e feci per gettarmi in avanti, ma la porta si chiuse con uno schianto. Mi fermai appena in tempo per non batterci contro. Una sensazione di sconfitta mi strinse lo stomaco.

-Resterai lì dentro per un bel po'... sei stata una bambina molto cattiva- dichiarò la mia matrigna, poi sentii i suoi passi allontanarsi e fui presa dallo sconforto. Era finita, compresi. La fiaba si era confrontata con la realtà e aveva perso.

Provai ad abbassare la maniglia, ma nulla, la porta era chiusa a chiave. Strinsi i denti, la rabbia che infilava i suoi uncini dentro di me. Ma cosa mi era venuto in mente? Perché ero voluta tornare lì? Tremavo, ma cercai di calmarmi. Non potevo arrendermi, non potevo permettere a Megan di vincere. Feci un giro su me stessa, traballante su quelle scarpette con i tacchi alti. Corsi –beh, correre forse è un parolone- procedetti, verso la finestra. Potevo uscire da lì, sarebbe stato faticoso ma... mi accorsi con orrore che era chiusa con un lucchetto. Spinta da qualcosa che non riuscivo a contenere mi gettai in avanti e lo afferrai. Cercai di romperlo, le unghie che si scheggiavano contro il metallo duro, gli occhi pieni di lacrime. Algol mi aspettava, dovevo andare al ballo.

Furiosa mi lanciai allora contro la porta, cercando di buttarla giù. Non ero abbastanza forte. Sentii un peso premermi violentemente il petto. –No, no, no!- urlai, lasciandomi cadere per terra. Il mio viso premette contro il pavimento gelido, ma non m'importò. Come avevo potuto pensare che per me ci fosse il lieto fine? Non era così, non poteva essere così. Ripensai alla mia vita.  Frammenti che si schiantavano.

-Sherry- una voce, sottile come uno spillo –Sherry, ti prego, rispondi- questa volta la riconobbi. Mi alzai, traballai, mi avvicinai alla porta con diffidenza. –Ascoltami, adesso apro- continuò la persona dall'altra parte. Amichevole, quasi dolce.

Balzai indietro, il cuore in gola. Cercai con lo sguardo un oggetto con cui difendermi, ma non feci in tempo a prenderlo. Un attimo dopo la porta si spalancò e Julia apparve in tutta la sua celestiale perfezione. Alta, bionda, snella, una maglietta scollata e dei jeans rosa confetto.

-Su, dobbiamo uscire se vuoi andare al ballo- disse, la voce dolce e incantevole come quella di una fata.

-Perché mi aiuti?- chiesi, sorpresa. Era una trappola?

-Perché tu con me ti sei sempre comportata bene, sei sempre stata una vera sorella, più di Anne... e non è giusto quello che mia madre ti ha fatto- e vidi qualcosa brillare nel suo sguardo. Ci misi alcuni istanti a comprendere che si trattava di lacrime. La perfezione soffre quindi? Mi sembrava una cosa impossibile, da altro mondo. Non ebbi comunque tempo per riflettere. –Su, sbrigati- mi disse, prima che mia madre se ne accorga-

Annuii debolmente, il cuore che mi pulsava in gola. Avrei avuto tempo per riflettere sull'accaduto. Frammenti di ricordi si fecero strada in me. Julia in un angolo, io che le chiedo come sta. Julia che non ha mangiato, io che busso alla porta della sua stanza con un vassoio di cibo in mano. Julia che nasconde le lacrime, io che le porgo un fazzoletto.

-Grazie- mormorai, quindi la superai e scesi le scale, le gambe tremanti, le scarpe che rendevano il mio mondo instabile. Le tempie avevano iniziato a pulsarmi, dolorosamente, ma mi sforzai d'ignorarlo. Dovevo andare alla festa.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate?

A presto

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now