46. CONFRONTI

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Io e Algol restammo in silenzio fino a quando la sarta non fu uscita, quindi lui si alzò e mi corse incontro, velocissimo. Ridendo lasciai che mi sollevasse e mi facesse volteggiare per aria, come se fossi stata leggera come una bambola. Delicati brividi mi sfiorarono il corpo, come le carezze di un amante. Gli appoggiai le mani sulle spalle per mantenere l'equilibrio. Lui mi sorrideva, le labbra piegate in quello che sembrava essere più un ghigno che un vero e proprio sorriso.

-Come hai fatto a entrare?- chiesi, quando finalmente mi appoggiò a terra.

-Ho i miei mezzi... diciamo che volevo vederti, non mi piace il fatto di non poterti vedere quando voglio-

Erano belle parole, piene di sottintesi capaci di farmi battere il cuore. Erano vere però? Non lo sapevo, ma lo speravo. Sarebbe stato bello credere che il suo potesse essere un amore autentico. –Perché mi hai fatta venire qui?- chiesi, cercando di rendere il mio tono rabbioso e sferzante.

-Qui hai tutto ciò che vuoi-

-Non ho te- lo corressi. E senza di lui, beh, mi sembrava di non avere nulla, di vivere nel vuoto.

-Puoi vivere senza di me... sei vissuta per molto tempo senza di me-

-Perché sei sempre così egoista? Perché... - non terminai la frase. Lui mi soffocò con un rapido bacio, le mani che mi attiravano a sé.

Quando ci staccammo, i suoi occhi brillanti come gioielli mi fissarono. Mi sembrò di essere percorsa da un fulmine.

Compresi, con un pizzico di dolore, che ero reale solo sotto lo sguardo di Algol. Ero vera solamente quando i suoi occhi seguivano i miei contorni, quando mi accarezzavano la pelle senza realmente toccarmi, quando facevano esplodere piccole bolle dentro di me, riscaldandomi, anzi, facendomi ardere. Quando Algol non mi fissava ero solamente immaginaria, irreale come un fantasma o come un ologramma. Il personaggio di un romanzo sarebbe stato più reale di me.

-Tu meriti un'occasione- mi sussurrò –la meriti più di chiunque altro-

Questa volta non replicai. Notai che Algol lasciava scivolare lo sguardo sul grande pianoforte nero.

-Perché non suoni qualcosa?- domandai. Avrei voluto perdermi nella sua musica, lasciarmi trasportare, incatenarmi.

-Non lo so... tu vorresti ascoltarmi?-

Mi ritrovai a sorridere. –Non te lo chiederei se non fosse così-

Lui si staccò da me, continuando comunque a tenermi a sé con un braccio. –Va bene, suonerò qualcosa, lo farò solo per te- e si diresse, continuando a tenermi, come se fossi qualcosa d'immensamente fragile e prezioso, al pianoforte. Si lasciò cadere sulla panca, quindi la sua mano scivolò via dalla mia vita.

Un'idea mi balenò in testa. Appoggiai dolcemente le mani sui suoi occhi. –Suona così, non guardare-

Non potevo vederlo in viso, ma fui certa che Algol stesse sorridendo. –Vediamo cosa so fare- e le sue dita cominciarono a danzare sui tasti. Le fissai ipnotizzata e cullata sia da quel lento ballo, sia dalla musica che sembrava accarezzarmi e sedurmi. Mi piegai in avanti spinta da un desiderio senza nome. Volevo sfiorare le sue labbra con le mie. Volevo sentirlo mio, solamente mio. Un piacevole calore mi si diffuse nel corpo, mentre lo baciavo. In quel secondo tutto tranne noi perse importanza. Mi accorsi solo vagamente che Algol aveva smesso di suonare. Fui invece decisamente consapevole delle sue mani che mi afferravano la vita e mi trascinavano verso di sé. Non so come ma mi trovai seduta sulle sue ginocchia. Non importava altro che lui in quel momento. Non m'importava che delle sue labbra sulle mie. Non importava che il mio corpo che si contorceva per lui. Era come affogare in un lago di dolcissima panna, come lasciarsi andare a una dolcezza priva di complicazioni, come perdersi tra le nuvole.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now