59. IL MOSTRO DAGLI OCCHI VERDI

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Entrai nel lungo corridoio spoglio dell'ospedale che portava alla camera di Algol. La discussione con Jane, avvenuta il giorno precedente, mi aveva turbata più di quanto avrei voluto ammettere, ora però dovevo sforzarmi di sorridere. Algol meritava un sorriso. Non gli avrei detto niente, non doveva sapere che Jane era sua madre. Io...

-Non avresti dovuto venire- la voce di Algol. Gelida come la neve, dura come l'acciaio.

Mi bloccai, il piede sospeso a mezz'aria, il cuore che pulsava nel petto. Cosa stava succedendo?

-Non potevo far finta di niente, dovevo venire a vederti-

Anne. Il corpo mi s'irrigidì e smisi di respirare. Per un attimo la realtà parve congelarsi e io restai immobile come una statua di ghiaccio.

-Vattene, Anne- la sua voce era imperiosa.

-Perché dovrei andarmene?- replicò la mia sorellastra. Ghiaccio gelido che mi paralizzava il corpo. Era venuta per rovinarmi la vita. Anne non poteva mai arrendersi.

-Perché te lo sto chiedendo- ruggì Algol –Non voglio che tu stia qua- era furioso.

Inspirai a fondo. Dovevo affrontarla. Entrai nella stanza, senza attendere oltre. La vidi subito. La mia sorellastra era in piedi accanto al letto di Algol, i capelli biondi legati in una coda alta, un vestito blu come la notte.

Anne si voltò e mi fulminò con lo sguardo. –Tu- ringhiò, mostrandomi i denti. Si era resa conto che erano macchiati con il rossetto rosso? Non era certo il caso di dirglielo.

-Ciao, Anne- intervenne Algol -vai pure e non tornare-

Anne fece per dire qualcosa, poi mi superò, dandomi una spallata. Barcollai, quindi mi voltai e osservai Anne scomparire dietro la svolta. Anne aveva una malattia: l'invidia. La rodeva, le artigliava le carni, le strapazzava l'anima. La potevi perfino vedere brillare in quei suoi occhi verdi come i prati. Anne era tremendamente invidiosa e nulla al mondo avrebbe potuto cambiare questo. E il suo cuore ora era ferito, sanguinante, infetto.

-Non le ho chiesto io di venire- disse Algol, sdraiato nel letto. Spostai lo sguardo su di lui. Era sempre pallido, ma la vecchia luce era tornata nel suo sguardo.

Ingoiai la gelosia. Avrei dovuto sorridere, ma non riuscivo più a incurvare le labbra, era diventato impossibile. –Non si arrenderà- e sentii che la mia voce era lamentosa, infantile. Ero una bambina, ecco come mi sentivo davanti allo sguardo di Algol. In confronto ad Anne però io ero davvero una bambina. Piccola, ingenua, fragile. Una bambola, che però non viaggiava per il mondo.

-Questo non ha importanza... io non amo lei, non posso amare lei- allungò un braccio verso di me. Un vento gelido percorse le macerie del mio cuore, sollevando la cenere e coprendo tutto. –Non vorrei essere noioso... ma io sono l'ammalato bisognoso di cure... molte cure-

-A sentire il medico sei abbastanza scontroso- lo punzecchiai io.

-Competizione tra uomini... allora, che ne dici di curarmi tu?-

La risatina mi uscì dalle labbra prima che potessi trattenermi. Lasciai scivolare la borsa e mi avvicinai ad Algol.

-Presa- disse lui, vittorioso, avvolgendomi nel suo abbraccio.

-Io... ah!- mi ritrovai a cadere in avanti. Algol mi aveva trascinato giù con lui e ora mi trovavo sdraiata sul suo petto. –Sei impazzito?- gemetti –E se ci vedono?-

-No, non entrano mai a quest'ora- bofonchiò, affondando il viso nei miei capelli –adoro il profumo del tuo shampoo- mugugnò.

Algol era tempesta, riusciva a sconvolgere la mia vita come nessuno avrebbe mai potuto fare. Mi baciò, togliendomi il rossetto rosa che avevo scelto con grande cura per lui. Con Algol però non riuscivo mai a tenere il rossetto a lungo.

Il tempo scivolò via confusamente. I giorni si susseguivano tra le lezioni a palazzo, le mail della bambola viaggiatrice e le visite all'ospedale, fino a quando Algol non fu dimesso.

-Torno a casa quindi- borbottò un caldo pomeriggio.

-Perché quella faccia da funerale?- lo stuzzicai, seduta sul bordo  del letto –Le persone normali sono felici di tornare a casa-

-A casa non vedrò te, non penso che tua madre ti permetterà di venirmi a trovare- dichiarò, giocherellando con i miei braccialetti.

-Potrai venire a palazzo, questo non lo può proibire- gli ricordai.

-Sì, ma saremo sempre sotto controllo- allungò le mani e le sue dita si attorcigliarono ai miei capelli, accarezzandoli con cura. Cocci bollenti che mi si conficcavano nel cuore. –Io voglio baciarti, toccarti... scompigliarti tutta- incurvò le labbra in un sorriso –voglio spettinarti tutta-

-Spettinarmi?- chiesi, non riuscendo a non sorridere.

-Sì, ti voglio spettinata- dichiarò, ridendo, quindi mi riempì di baci fino a far confondere tutto il mondo intorno a me.

Lanciai uno sguardo al cellulare

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Lanciai uno sguardo al cellulare. L'ennesimo sguardo. Quanti ne avevo già lanciato a quel display buio? Non lo sapevo, avevo perso il conto. Mi passai una mano tra i capelli e mi concentrai nuovamente sul testo che avevo davanti.

-L'etichetta vuole che ai matrimoni ci si metta il cappellino- recitai, il libro che mi aveva dato mia madre aperto davanti a me, ma la mia mente era lontana, vagava in oscuri labirinti alla ricerca di Algol –questo è valido per le donne- un altro sguardo. Nulla. Premetti il pulsante laterale e sbirciai se per caso avessi perso una notifica. Nulla. Un senso di gelo. Cenere nello stomaco, in gola, nei polmoni. Perché Algol non mi scriveva? L'immagine di lui ed Anne si fece strada in me. Nel mio ricordo erano vividi, orribilmente reali. Erano carne, ossa, sangue. E se Algol fosse tornato con Anne? E se mi avesse abbandonata? Stavo diventando paranoica. Era uscito dall'ospedale solo il giorno prima. Era normale che non ci fossimo sentiti molto.

Quella notte feci un sogno. Camminavo nel grande giardino. Le mie scarpette affondavano nell'erba e nel fango. Stavo cercando qualcosa, ma non sapevo cosa... e alla fine lo vidi: Algol. Solo che nel sogno era stretto ad Anne. Mi parve che il mondo intero mi crollasse addosso. Mi svegliai con le lacrime che correvano lungo le guance, senza che riuscissi a controllarmi. Algol scatenava in me sentimenti contrastanti, così tanto contrastanti che non riuscivo a capire nulla quando c'era lui. Cos'aveva di così speciale?

Era questo l'amore vero, quello che tutti sognavano? Perché questo era capace di scavarti il petto fino al cuore. Era quello decantato dai poeti? Ti sbranava, ti faceva a pezzi, ti feriva.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora