50. LO SCHELETRO

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Era bello abbandonarsi nel suo abbraccio. Fin troppo bello. La felicità forse era proprio quella. Noi due insieme. Era tutto una contraddizione. Lupo e principe.

Algol mi baciò. Uno, due, tre... persi presto il conto dei baci. Si mischiavano, si confondevano. Sentivo la testa leggera, il corpo tremante, le labbra bollenti. Ogni cellula del mio corpo pulsava. Un giorno di sole, sdraiati nell'erba.

Mi prese una sorta d'urgenza. Ero come un filo teso. Mi aggrappai a lui, con una disperazione che mi faceva impazzire. Volevo che mi baciasse, che mi stringesse, che mi divorasse. Ora che finalmente gli avevo confidato il mio segreto ero libera, finalmente libera. Lui mi accettava. Lui mi amava. Lui voleva me. Non era questo l'importante? Era tutto.

Algol si tirò leggermente indietro, come se volesse osservarmi meglio. I suoi occhi viola brillavano. Sembrava indeciso, come se volesse dire o fare qualcosa, ma non ci riuscisse.

Le urla arrivarono all'improvviso, strappandoci da quel nostro mondo d'incanto. Io e Algol ci guardammo, come se i nostri occhi fossero calamite che si cercavano e si attiravano. Le nostre labbra, appena staccate e ancora bollenti, erano vicinissime.

-Che succede?- chiesi, la voce incrinata.

-Resta qua- disse Algol, superandomi. Il passo era rapido, sicuro. L'osservai per un attimo, le gambe rigide, chiedendomi come un essere umano potesse essere così rapido e silenzioso, poi qualcosa mi riscosse. Tornai alla realtà.

Non potevo farlo andare da solo, dovevo andare con lui, era una sensazione più forte di me. Non volevo lasciarlo solo. Allungai il passo, sollevandomi leggermente l'abito con una mano, mentre con le dita dell'altra sfioravo il muro per cercare un coraggio che non avevo. Altre urla dal piano di sotto. Mille scene si fecero strada dentro di me. Qualcuno che aveva bevuto troppo e si era fatto male. Oppure Anne con la pistola di mio padre in mano che mi cercava per uccidermi. Un pensiero per niente consolante, che comunque mi strappò una risatina isterica.

-Ti avevo detto di restare sopra- mi disse Algol, fermo a metà delle scale, pigramente appoggiato al muro, le mani in tasca.

-Ormai dovresti sapere che non ti ascolto mai- replicai.

-Stupido io che ci provo sempre- sbuffò, quindi si voltò e proseguì –resta comunque dietro di me- e le sue parole avevano il tono dell'ordine.

Mi morsi la lingua prima di chiedergli cosa mi avrebbe fatto se non gli avessi ubbidito. Forse era meglio non saperlo.

La prima cosa che notai quando arrivammo sotto era il gran numero di persone che si accalcavano verso una delle pareti. Poi notai dei pezzi di muro erano a terra, insieme a calce e polvere. Mi fermai, le gambe rigide, quasi impossibili da muoversi. Qualcuno aveva deciso di creare un open space? Diverse persone si trovavano lì davanti. Cosa stavano guardando? Attesi, non sapendo cosa fare. E poi lo vidi. Il muro era caduto, le macerie giacevano ovunque. E dietro c'era qualcosa.

-Che orrore!- urlò una ragazza, una cascata di capelli castano scuro che le ondeggiava sulle spalle.

-Non ci posso credere- era una voce maschile, incrinata per il panico.

Algol non attese un attimo di più. Si fece strada, spintonando. Gli bastò dare un paio di gomitate e i ragazzi si divisero, come se fosse stato un oceano che si apriva per farlo passare.

Dovevo vedere, dovevo sapere. Mi avvicinai di un passo e mi spinsi sulle punte per vedere... la visione mi colpì come uno schiaffo. Barcollai indietro, malferma sulle gambe, il cuore che sobbalzava, la testa che mi girava. Sbattei contro qualcuno, ma quasi non lo sentii. Il mondo intero aveva smesso di girare e il tempo si era immobilizzato. A qualche metro da me, tra le macerie del muro, c'era uno scheletro, vestito con abiti vaporosi, appartenenti al passato. Era lei, compresi, l'ansia che mi assaliva la gola, come una belva. L'amata del Principe delle Ombre. Era sempre stata là dentro, oltre quel muro.

Le notizie cominciarono a circolare quasi subito. Era stato un ragazzo ubriaco a rompere il muro. A quanto pareva dopo che era stato colpito con una mazza da baseball –a causa di uno sciocco gioco, che prevedeva anche una bottiglia di vodka- si era praticamente sgretolato rivelando il suo oscuro segreto: lo scheletro di una donna vecchio di secoli.

Quando tornai al castello ormai albeggiava. Chiesi ad Algol di non farsi vedere, non volevo che la situazione peggiorasse. Naturalmente trovai mia madre furiosa, in piedi in mezzo alla mia stanza, appoggiata a una delle colonnine del baldacchino.

-Cosa ti è venuto in mente?- chiese, la voce che vibrava di collera non trattenuta. Gli occhi ambrati lampeggiavano di furia.

-Avevo promesso a Penny che sarei andata al suo compleanno- affermai. Era solo una piccolissima parte della verità, ma non volevo dirle tutto. Come potevo spiegarle che Algol era per me l'aria che respiravo e l'acqua che bevevo? Che senza di lui il mondo avrebbe anche potuto scomparire e a me non sarebbe importato nulla? Algol, lo comprendevo ora più chiaramente di quanto avrei mai creduto, era il mio mondo. Era luce e ombra, era qualsiasi cosa e non era nulla.

-Penny?- mia madre mi fissò confusa –E ora chi è questa Penny?-

-La sorella di Algol- le dissi, certa che non avrebbe compreso. Lei forse non poteva capire. Mi aveva lasciata per tornare al suo regno, per sedere su quello stupido trono. Quale madre lascia la propria figlia per una corona? Inspirai l'aria fresca del primo mattino, sperando di scacciare l'ansia.

-Devi stare lontano da quel ragazzo- rispose mia madre. La sua voce tremava. Era evidentemente furiosa.

-Perché?- chiesi, le tempie che mi pulsavano dolorosamente –Lui è l'unico che mi è stato accanto per tutto questo tempo... è solo grazie a lui che ora sono qua- o per colpa sua, non sapevo esattamente quale delle due cose. Forse entrambe.

-Tu non sai cos'ha fatto la sua famiglia-

-Algol non è la sua famiglia, lui è molto di più, lui è... - avrei potuto raccontargli molte cose. Di quando aveva picchiato il ragazzino che mi aveva portato via la bambola, di quando aveva vegliato su di me, tenebroso e silenzioso, di tutte le volte in cui mi aveva sostenuta, nonostante tutto. –Lui è unico- dissi infine, sapendo di non poter raccontare tutte quelle cose. La donna che avevo di fronte era simile a me, ma non era me, no, mi assomigliava solamente molto, ma non era me, non la sarebbe mai stata. Come poteva essere veramente mia madre, la madre dolce che ricordavo, se non comprendeva quanto fosse forte il mio legame con Algol? Quanto avessi bisogno di lui perfino per respirare? Quanto il mondo fosse vuoto senza di lui? No, quella che avevo davanti era una regina e come tale metteva il dovere sopra ogni altra cosa. Sarei stata così anch'io un giorno? Non avrei più guardato le stelle di notte per sognare ciò che non avrei mai avuto?

-Algol è la sua famiglia- disse mia madre –non potrà mai cambiare-

Non replicai. Non sarebbe servito a nulla urlare, sarebbe stato come gridare al vuoto e lasciare che la mia voce si perdesse nel nulla, che morisse invocando il suo nome. Algol. La mia unica e folle ossessione. Sentii il corpo vibrare di una rabbia animalesca. Avrei voluto colpire qualcosa, avrei voluto semplicemente scomparire. Restai invece immobile, sotto lo sguardo freddo di mia madre.

-Voglio che tu non lo veda più- decise la regina. Sì, quella era la regina, non mia madre. Una figura dai contorni poco netti.

Aprii la bocca per replicare, ma non ci riuscii. Non avrebbe avuto senso. Avrei dovuto continuare a vedere Algol di nascosto, perché sapevo che semplicemente non avrei potuto rinunciare a lui, non ora che finalmente le nostre anime erano incatenate, non ora che ero riusciva a penetrare nel suo cuore circondato da rovi di spine. Ora che avevo finalmente ammirato la rosa non potevo più indietreggiare, non potevo fingere che tutto fosse come prima. Non era possibile.

-Fosse l'ultima cosa che faccio, ma io gli impedirò di distruggerti la vita- e sembrava proprio una minaccia.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate?

A presto!

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon