39. UN BICCHIERE DI TROPPO

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Colpi nel silenzio. Sobbalzai. Cosa stava succedendo? Sbattei le palpebre, confusa. Ci misi alcuni istanti a capire che mi trovavo nella stanza che Algol mi aveva dato. Era stato un rumore a svegliarmi. Mi misi seduta sul letto, le lenzuola che mi si attorcigliavano al corpo. Ero sudata e avevo freddo. Mi resi conto solo dopo alcuni istanti che la finestra si era spalancata e che l'aria gelida della notte entrava nella stanza. Scesi dal letto e mi avvicinai, scalza, alle tende bianche che si gonfiavano per la brezza. Fantasmi, pensai. Un senso  di dolorosa inquietudine mi strinse il cuore. Ripensai al volto di mia madre, al panico alla fuga. No, non dovevo pensare a questo.

Afferrai la maniglia della finestra e la chiusi. L'anta cigolò, trasmettendomi un brivido lungo la schiena. I ricordi della sera precedente erano ancora vividi in me, striscianti sulla mia pelle. Dopo essere uscita dalla sala da ballo ero corsa per diversi metri, fino a quando non mi ero lasciata cadere, esausta, sull'erba. Mi ero sentita morire. Era lì che Algol mi aveva trovata, le lacrime che mi bagnavano le guance. Mi aveva aiutata a rimettermi in piedi, quindi, senza una parola, mi aveva condotta via. Non aveva aperto bocca neppure quando eravamo saliti in auto. Sul suo viso avevo letto una sfumatura che non ero riuscita a comprendere. Cosa nascondeva negli abissi della sua anima? E perché non potevo esplorare quelle selve? E poi mentre rientravamo a casa era successo. Mi aveva porto la mano per aiutarmi a fare i gradini. Il solito gesto, quello che mi graffiava -chissà perché- il cuore. Io non l'avevo presa. E lui se n'era andato.

Il mio sguardo sfiorò la notte scura. Non c'era neppure la luna, mi ritrovai a pensare. Improvvisamente mi venne voglia di nascondermi sotto le coperte, un senso d'angoscia che mi stringeva la gola. Tirai rapidamente le tende e... un rumore attirò la mia attenzione. Sembrava provenire dal piano di sotto. Indugiai un attimo, immobile. Ero cresciuta con mille vecchie storie su quella casa. Gran parte di esse parlavano di spiriti e altri mostri. Ovviamente non poteva essere vero... perlomeno lo speravo. Algol. Il suo nome mi sfiorò la mente come se fosse la cosa più naturale del mondo. Povera sciocca che non ero altro! Avrei dovuto odiarlo, avrei dovuto detestarlo e... un altro rumore, solo che questa volta sembrava una voce. La sua voce. Mi affrettai a mettermi le ciabatte, desiderosa di arrivare in fondo a quella storia. Uscii dalla stanza e mi diressi verso le scale, un senso d'irrequietezza che mi tendeva il corpo. Quando fui vicino ai gradini sentii chiaramente la voce di Algol. M'immobilizzai. Quindi era lui che faceva tutto quel rumore... mi aveva fatta spaventare per nulla! Feci un sorrisetto. Era sempre il solito! Possibile che combinasse sempre qualcosa? La rabbia però si stava già dissolvendo.  Ricominciai a fare le scale, avvolta in un velo di confusione. Non capivo perché... mi bloccai a un passo dalla porta dello studio. Quelli che sentivo erano dei singhiozzi? Algol stava piangendo? No, non poteva essere vero. Oppure sì? Ripensai al suo viso sconvolto, dopo aver visto la tomba del gemello. Entrai nella stanza, la camicia da notte che mi frusciava intorno. Algol era seduto sulla poltrona dello studio, una bottiglia di vino in mano. Le cornici che facevano bella mostra sulla scrivania erano cadute a terra. Pure ubriaco! Ci mancava solo questo!

-Cosa fai?- gli chiesi. Il mio tono uscì più brusco di quanto avrei voluto.

Lui sollevò la testa e mi fissò, un sorriso crudele sulle labbra. –Sher, Sher, cosa c'è? Non riuscivi forse a dormire?- le parole erano trascinate.

-Con tutto il rumore che facevi come avrei potuto?- chiesi, stancamente.

Algol si limitò a stringersi nelle spalle. –Peggio per te- rise, una risata tesa, dolorante.

-Sei ubriaco- dichiarai.

-T'importa, forse?- chiese, la voce tagliente –A te non importa nulla di me... a nessuno importa nulla di me, potrei scomparire e voi ne sareste felici, molto felici-

-Sei ubriaco- ripetei, non sapendo cosa dire –per questo sei convinto che nessuno tenga a te- mi avvicinai e gli sfilai di mano la bottiglia. Lui non si ribellò, lasciò che la prendessi. –Così sveglierai Penny- aggiunsi, abbassando la voce. Non volevo che sua sorella lo vedesse in quello stato.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora