41. IL DIPINTO

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Algol era chiuso nella sua stanza già da ore. Non era nemmeno sceso a pranzo. Penny non si mostrava preoccupata al riguardo.

-Non avrà fame- commentò, facendo spallucce, il trucco leggermente sciolto.

-Forse dovrei portargli qualcosa su-

-Ti preoccupi troppo- mi rispose, continuando a mangiare l'insalata.

Probabilmente mi preoccupavo troppo, ma non potevo fare altro. Lasciai vagare lo sguardo sui capelli di Penny. -Ti sei tinta di viola?- domandai, vedendo che la chioma corvina aveva una sfumatura violacea.

-Oh sì... è tipo una tinta che fa i riflessi... vuoi provarla?-

Le labbra si mossero per dire di no, ma mi bloccai. Ripensai alla bambola viaggiatrice, a come i viaggi cambiassero il suo aspetto... ma la vita stessa non era un lungo viaggio? Perché no? -Volentieri-

Lo sguardo di Penny luccicò d'entusiasmo. -Vado a preparare la tinta!- e si alzò tanto rapidamente da far strisciare rumorosamente la sedia contro il pavimento.

La guardai andare via, agile e quasi saltellante, chiedendomi in che guaio mi fossi cacciata.

La guardai andare via, agile e quasi saltellante, chiedendomi in che guaio mi fossi cacciata

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Mi avvicinai alla stanza di Algol, camminando sulle punte per non fare rumore. Ero curiosa cosa facesse nascosto là dentro. La porta era socchiusa. Sarebbe bastato solo porgermi un po' per guardare dentro. E fu così che lo vidi all'opera.

Lo fissai, impossibilitata a muovermi, inchiodata dalla perfezione che si muoveva in quella tela, sotto il pennello di Algol. Sembrava che quei mondi prendessero vita. Mi era già capitato di vederlo intento nella creazione di un suo quadro, ma quella volta... sentii stelle e pianeti nascere e morire dentro di me. Mondi d'amori massacranti e di ossessioni distruttive, che mi artigliavano il cuore, che mi facevano a pezzi l'anima, senza che io potessi smettere di osservare neppure per un istante. Non era arte, era qualcosa che non potevo esprimere a parole. Un sentimento, una sensazione, un'emozione. Qualcosa senza nome, fragile come vetro o come carta.

E poi lui si voltò. Non mi era mai parso così bello, così incantevole, come se la sua pelle color alabastro risplendesse. -Cos'hai fatto ai capelli?-

Avvampai. -Che ne pensi?- indagai, giocherellando con il nastrino che avevo al collo.

-Penso che Penny abbia un futuro da parrucchiera e che il viola ti doni tantissimo-

Non riuscii a trattenere una risata. -Se mi vedesse mio padre... -

-Oh, non ci pensare- indicò con un cenno della testa il quadro -Guarda qua- disse con un mezzo sorriso.

-Ti direi che dipingi divinamente... ma questo lo sai già... e non voglio certo aumentare il tuo ego già spropositato-

-Perché non provi tu?- mi chiese, lo sguardo splendente. Una riga blu gli percorreva la guancia. Si era sporcato con la tinta. Incurvai le labbra. Quel segno sulla sua pelle pallida gli donava e faceva spiccare le sfumature bluastre dei suoi capelli.

-Io?- domandai, stringendomi nelle spalle –Non so... - avrei voluto dire che non sapevo dipingere. Non era una vera bugia, io non disegnavo come Algol. –Non lo so fare molto bene-

-Bugiarda- esclamò ironico. Con un cenno del capo m'invitò ad avvicinarmi. –Su, aiutami a finire questo quadro-

-Sei matto? Vuoi che te lo renda orribile?- sgranai gli occhi.

-Tu che rendi orribile qualcosa?- domandò, morbido come un cuscino –Parliamo della mia deliziosa Cenerentola?-

Avrei voluto dirgli la verità. Avrei voluto parlargli del mio cuore a pezzi, delle macerie ricoperte di ceneri che lo invadevano, delle voragini che si aprivano divorando tutto. Se una persona avrebbe potuto capire quello era proprio Algol, perché sospettavo che anche il suo cuore fosse così. Avrei voluto parlargli delle cicatrici fisiche che erano solo lo specchio di quelle mentali. Non ci riuscii. Tempo dopo mi sarei domandata perché non lo avessi fatto, perché non avessi sollevato il velo di Maya –sì, ho un debole per Schopenhauer- e non gli avessi detto tutto. Forse le cose sarebbero andate diversamente. O forse no. Spesso c'incolpiamo per qualcosa di non detto, ma non necessariamente dire ogni cosa porta alla salvezza. A volte il silenzio è l'unica strada.

-Lo sai che ti renderò la vita impossibile se non mi farai vedere che sai disegnare- disse Algol, con quel ghigno da lupo che lo caratterizzava –e lo sai che ne sono capace-

La tentazione. Ecco, cos'era Algol. –Accetto la sfida- mi avvicinai.

Algol non mascherò l'aria vittoriosa. Era una di quelle persone che amano vincere e non lo nascondono. Beh, la ero anch'io. Mi avvicinai a lui, il cuore che si dibatteva nel petto come un animaletto in gabbia. Quando fui abbastanza vicina Algol mi guidò in modo tale che la mia schiena fosse davanti al suo petto. Deglutii, il senso di calore che s'irradiava in tutto il mio corpo.

Le sue dita s'intrecciarono nelle mie. Palmo contro dorso. –Così- sussurrò, respirando contro il mio orecchio, incendiandomi la pelle –devi seguire ciò che senti- e guidò la mia mano in quella specie di danza. Mi lasciai condurre, fremendo per il suo corpo contro il mio. Era una sensazione inebriante, che mi confondeva e mi esaltava. Dipingemmo insieme. Non so quanto ci mettemmo. Minuti o secoli. Credo che in alcuni momenti il tempo smetta semplicemente di esistere.

Era nostro quel quadro, era un capolavoro che stavamo creando assieme. Un mondo che plasmavamo solo noi due. E su quella tela quasi vuota creammo qualcosa che usciva dalle nostre anime. Ci mettemmo pezzi di noi.

Quando finalmente terminammo osservai il quadro. Un cavaliere che teneva stretta per la vita una ragazza con l'ampio abito blu, che si lasciava cadere languidamente tra le braccia di lui.

-Secondo te cosa rappresenta?- domandò Algol, continuando a tenermi la mano, lasciandomi il suo segno sulla pelle.

-Una scena d'amore- sussurrai, inebriata da una strana sensazione –lei si arrende a lui, accetta il suo amore-

-Non ne sei convinta- insisté Algol.

-Qualcosa nel suo portamento... è esausta, è prosciugata... si arrende a lui... non so però se lo vuole davvero- ammisi. Lei lo desidera, ma allo stesso tempo voleva sfuggirgli. Due sentimenti opposti e incatenati. Come per me e Algol.

-Sono indissolubilmente legati- mi fece eco lui e fui certa che comprendesse.

Restai in silenzio. Una strana sensazione strisciava nel mio stomaco.

-Luce e ombra- concluse Algol –alla fine tutto si riduce a questo, luce e ombra-

Non risposi. Sì, aveva ragione. Luce e ombra. E rimasi lì, ferma a contemplare la nostra opera.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate del cambio di colore dei capelli di Sherry?

A presto!

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now