54. RISCALDARE

166 10 25
                                    

Voce. Una voce che chiamava. Sembrava provenire da molto lontano, quasi disturbasse il mio mondo di ghiaccio e tenebre. Una voce che conoscevo e che mi faceva battere il cuore. E poi sentii l'acqua che mi scivolava fuori dalla gola e un forte bruciore. La tosse esplose, costringendomi a piegarmi in avanti. La bocca, il naso, la lingua mi bruciavano, eppure la mia pelle era fredda come ghiaccio. La stoffa del vestito mi si era incollata addosso.

-Sher-

Aprii gli occhi e incontrai il viso di Algol, scuro per la preoccupazione. Lo fissai, confusa, non riuscendo a mettere insieme il ragazzo che conoscevo, quello a cui non importava mai niente e che era sempre fin troppo sicuro di sé, con quella creatura dallo sguardo sgranato per l'ansia.

-Sher, Sher, ti prego, Sher- il modo in cui pronunciava il mio nome riusciva a stringermi il cuore. Doveva essere un sogno, non poteva essere reale. -Resisti, ora ti scaldo io- gocce d'acqua mi caddero sul viso. Compresi dopo un istante che era Algol a essere bagnato. I pezzi della storia si fecero più chiari. Si era buttato nel lago per tirarmi su. Mi aveva salvata. Sotto la mia schiena sentii il terreno duro premere. Feci una smorfia. Avevo male ovunque.

-Sto bene- sussurrai. La mia voce era roca, parlare mi provocava dolore.

Algol mi mise addosso qualcosa. Era la sua giacca. Mi aiutò a tirarmi su, un braccio intorno alla vita. Mi sollevai con fatica, scossa dalla tosse e dall'imbarazzo. Perché non ero riuscita a nuotare fin fuori? Avevo rovinato tutto!

Tornammo alla baita, con passo lento. Algol mi aiutò a svestirmi. Avevo freddo, molto freddo. Ero gelata. Non ricordavo di essermi mai sentita così male. Mi lasciai cadere nel letto. Le coperte erano bollenti.

Algol mi si sedette accanto, mi sistemò i cuscini, mi propose mille cose diverse, il tono tremulo, nello sguardo l'ansia dello sbaglio. Lasciai che mi asciugasse i capelli con il phon. Il freddo era terribile, come non ne avevo mai provato in tutta la mia vita. Quando Algol terminò, andò a prendere un'altra coperta, ma neppure quella riuscì a scaldarmi davvero. Ero una statua di ghiaccio.

Avrei voluto rassicurarlo, ma le parole non venivano, erano incastrate in gola. Tremavo, nonostante i tentativi di Algol di scaldarmi.

-Non avrei dovuto proporti questo- sussurrò, passandomi le dita tra i capelli. La voce era esile, fioca come il sospiro di un innamorato infelice.

-Dovevi- lo corressi -credo che tutto spingesse a questo momento-

Le sue dita s'intrecciarono con i miei capelli. -No, non è così- mormorò, gli occhi che seguivano dolcemente i lineamenti del mio viso, come se volesse imprimerli per sempre nella propria memoria -se non fossi stato così egoista avrei dovuto starti lontano, accontentarmi di guardarti, di prendere un po' della tua luce... io però non so accontentarmi... io sono sbagliato, Sher... sono un giocattolo rotto, quelli come me non sanno rispettare i limiti, vogliono tutto e così finiscono per distruggere ciò che amano-

-L'amore uccide- sussurrai piano, ricordando la vecchia morale della leggenda del Principe -anche l'odio però lo fa- aggiunsi, sforzandomi d'incurvare le labbra in un debole sorriso.

Algol parve rifletterci, poi piegò le labbra in un sorriso che però era storpiato dal dolore. Un dolore senza nome. -Sì, anche l'odio uccide, però l'amore fa più male- la voce era atona, quasi come quella di un robot -l'amore ti mangia vivo e tu desideri essere mangiato ancora e ancora, nonostante il male, nonostante alla fine tu non riesca neppure più a respirare-

L'osservai. Algol. Sempre imperturbabile, inquieto, volubile. Il mio Algol, che amavo da quando ne avevo memoria, che mi scuoteva l'anima e mi rendeva molli le gambe. -Meglio morire per amore che vivere per odio- tentai.

Il suo sorriso storto aumentò. -Io per te morirei mille volte- mi accarezzò i capelli con una dolcezza che non gli apparteneva. Oppure sì, perché c'erano mille sfumature di Algol che non conoscevo. Io volevo conoscerlo fino in fondo, volevo aprire il mio cuore e lasciare che noi due diventassimo la stessa persona. -Lo sai cosa mi ha attirato di te?- chiese piano, il tono leggero.

-La mia splendida bellezza?- replicai, ironica. Avevo male ovunque. La nausea mi scuoteva.

-Il tuo sorriso- la semplicità con cui lo disse mi sorprese.

Aggrottai la fronte. Il mio sorriso? Non avevo un sorriso così bello. Perlomeno non me n'ero mai resa conto. Il mio sorriso era, secondo il mio modesto parere, abbastanza insignificante.

-Il mondo è pieno di belle ragazze- continuò.

-Se stessi un po' meglio ti meriteresti un calcio, sai?-

-Oh, lasciami terminare! Il mondo è pieno di belle ragazze, ma tu sei speciale, il tuo sorriso è davvero speciale, sarebbe capace di ribaltare il mondo intero se tu lo volessi-

Sentii il cuore scaldarsi, anche se le membra erano ancora gelate e rigide. Tutto il corpo mi faceva male. Avevo la gola secca e la nausea. Non stavo bene, per quanto potessi fingere il contrario non stavo per niente bene. E mi sentivo stanca, molto stanca.

Chiusi gli occhi e subito iniziarono i sogni. Confusi, i contorni non nitidi. Sognai molto, non ricordo più con precisione cosa... però credo che ci fosse la bambola viaggiatrice, solo che non era bella, ma completamente deturpata, la plastica del viso sciolta, i capelli arruffati, lo sguardo storto... perché i viaggi possono anche distruggere oltre che far rinascere. O forse proprio per questo. Per rinascere bisogna prima essere distrutti.

 Per rinascere bisogna prima essere distrutti

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.


Caldo, sentivo caldo, molto caldo. E sentivo una strana pace. Aprii gli occhi con fatica. Mi sembrava che le ciglia fossero incollate.

-Sherry, Sherry- una voce. No, non era la sua. Quando riuscii a sollevare abbastanza le palpebre, cosa che mi costò molto sforzo, riuscii a vedere il viso sfocato di mia madre. Dovetti sbatterle diverse volte prima di metterlo a fuoco e notare la preoccupazione che le deformava i tratti.

-Mamma- chiamai, la gola che mi faceva male. Mi sembrò di essere tornata bambina, quando ero malata e lei stava al mio capezzale. Mi prometteva una caramella per ogni medicina presa. Una vita prima.

-Grazie a Dio, pensavo che non ti saresti svegliata-

Ricordi confusi si fecero strada nella mia memoria. Deglutii, facendo una smorfia a causa di una fitta alla gola. -Algol- sussurrai -dov'è?-

-Algol? Cosa t'importa di lui?- il tono si era fatto freddo, tagliava come il ghiaccio.

-Ero con lui- mormorai, sforzandomi di mettere ordine ai pensieri. Nella mia testa regnava il caos. Avevo la nausea e quasi mi sentivo svenire. Puntini neri danzavano davanti a me.

-Non devi più pensare a lui... mi ha avvertita, mi ha detto cos'è successo... non  ti vuole più- disse mia madre -fine della discussione, non voglio neppure più sentire il suo nome, per poco non ti ha uccisa-

Compresi che si era sentito in colpa, per questo aveva avvisato mia madre. Il mio Algol. Non era colpa sua, ero caduta in acqua. Non replicai comunque. Non ne avevo la forza. Chiusi semplicemente gli occhi, non perché volessi ancora dormire, ma perché volevo semplicemente essere lasciata in pace.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa pensate della decisione di Algol?

A presto

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now