31. SORPRESA

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Fissai la donna dai capelli scuri e dagli occhi ambrati che sorrideva da quel sottile frammento di passato. Era seduta sullo schienale di una panchina, il volto in parte girato, un sorriso leggero che le incurvava le labbra. Avevo passato quasi mezz'ora a osservarla, prima di essere di nuovo trascinata nella realtà. Quella donna che indossava un abitino di jeans e che sembrava volersi negare alla fotocamera era mia madre.

Dovevo far vedere la fotografia a qualcuno. La consapevolezza di doverlo fare era così forte che mi stringeva lo stomaco, procurandomi un senso di nausea. Percorsi la soffitta ben tre volte, impossibilitata a stare ferma. Tentai di tracciare qualche disegno, ma la matita continuava a disegnare cerchi solitari. Aprii il ricettario e cercai di sistemare una ricetta. Inutile, avrei solamente rischiato d'infilare la mia agitazione tra gli ingredienti. Alla fine compresi che c'era solamente una persona dalla quale avrei potuto andare. Inghiottii i dubbi e l'orgoglio. Certe decisioni si prendono da sole.

Fu Algol in persona ad aprirmi la porta. La sua figura imponente e quel suo fascino, che lo vestiva alla perfezione, mi fecero bloccare per alcuni istanti. Era impossibile esserne immuni. Aveva un sorriso divertito e falso. Nulla di nuovo, insomma, ma io mi sentivo diversa.

-Guarda un po' chi abbiamo qua- esordì, appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta, in una posa che trasmetteva noncuranza. I capelli perfettamente spettinati gli ricadevano sul volto, ciuffi neri, bagnati dalla luce del sole.

-Ho una sua foto- dissi di getto.

Algol mi guardò, la confusione nello sguardo, che in quel momento pareva nero.

-Mia madre- mi affrettai ad aggiungere.

Algol fece un passo di lato. Benvenuti nella tana del lupo. Entrai, cercando d'ignorare il desiderio di voltarmi e fuggire via. –Penelope non c'è- disse lui. La sua voce riecheggiò nell'ambiente. Mi voltai e lo guardai. –Neppure Susan- aggiunse, chiudendo la porta, che sbatté con un tonfo. –Siamo soli, io e te- dichiarò, sorridendo nuovamente. Il suo abito di tenebre brillò. In seguito mi sarei chiesta a cosa fosse dovuta la sensazione di straniamento che mi percorse. Algol riusciva a confondermi, a rimescolare i miei sentimenti, a farmi a pezzi l'anima. L'osservai avvicinarsi, il passo felpato, lo sguardo puntato su di me. Uno sguardo che faceva bruciare l'aria. Dovevo dirgli qualcosa, dovevo parlargli. Forse le parole avrebbero scacciato quella mia sensazione senza nome.

-Era nella scrivania di mio padre, l'ha sempre tenuta lì-

-Sei certa che sia sua?-

-Sì, ne sono sicura- confermai. -Comunque una foto non serve a nulla- mormorai sconsolata.

-E invece ti sbagli, una foto serve a molto, forse serve a tutto- e questa volta sorrise, come se nascondesse un segreto.

-Cos'hai in mente?- gli chiesi, sentendo la curiosità strisciarmi nel ventre.

-Dammi la foto- fu la sua risposta, la sua mano che si allungava verso di me, con il palmo in su. Sembrava un invito.

-Prima voglio sapere che cosa ne farai- mormorai.

-Ti do la mia parola che potrai riaverla tra poco-

Stava dicendo la verità? Non avrei mai voluto separarmene. Era un ricordo di mia madre.

-Fidati-

-Va bene- cedetti, porgendogli la fotografia con il cuore in gola. Avevo cercato per ore in quei lineamenti una somiglianza, qualcosa che gridasse a gran voce che era mia madre, che era colei che mi aveva messa al mondo, sangue del suo sangue. Deglutii. Mi sembrava di avere delle schegge di vetro conficcate in gola.

Algol mi spiegò. –Possiamo usare un programma di riconoscimento facciale, se c'è qualche sua foto su Internet lo scopriamo subito-

Perché non ci avevo pensato prima io? Deglutii. –Sì, facciamolo- decisi.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now