42. ESPRIMI UN DESIDERIO

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Algol non si fece vedere nemmeno a cena, dove dovetti sopportarmi le chiacchiere di Penny e le occhiate diffidenti di Susan. Fu così che scoprii che avevano trovato un orecchino di Betty poco vicino al lago dove avevamo fatto il campeggio.

-Ne parlano tutti- mi disse Penny.

Riflettei su quel fatto. Betty mi era sempre stata antipatica, certo, ma pensare che fosse scomparsa, probabilmente peggio....

-Secondo te chi è stato?- mi chiese Penny, curiosa.

Mark. Deglutii e ignorai il pensiero. -Non lo so-

-Non si parla di queste cose a tavola- disse Susan, interrompendo la nostra chiacchierata. E fu così che la sala piombò nel silenzio.

Quando finalmente finimmo di mangiare vagai per la casa. Mi sentivo simile a un fantasma, quasi trasparente. Derivava forse dal fatto che non ci fosse Algol? Era quella la causa? Non lo sapevo, ma senza di lui ero come trasparente. E poi scorsi un'ombra. In seguito mi sono detta che probabilmente fu solamente un caso. Doveva essere così, più semplice che credere che uno spirito vero mi avesse guidata fino alla soffitta, che si trovava sopra un'impervia rampa di scale, che feci restando appesa con due mani al corrimano. Beh, quella casa si doveva rifare! I miei pensieri su quanto fosse necessario ristrutturare il maniero scoppiarono come una bolla di sapone non appena vidi Algol. Era seduto sul parquet consunto, lo sguardo fisso oltre la portafinestra. Mi avvicinai, l'anima che pulsava, riconoscendo il dolore di Algol, che era simile al mio.

-Ti rifugi qua quando sei di pessimo umore?- lo stuzzicai, non sapendo come altro approcciarlo. Temevo che un altro genere di approccio avrebbe toccato la carne viva che ricopriva la sua anima, ottenendo l'effetto di farlo fuggire.

Algol non parlò subito. Attesi al suo fianco, ben consapevole che i silenzi, proprio come le parole, facevano parte del nostro intimo linguaggio. –Lo faccio ogni tanto- dichiarò infine.

-Fai bene, è un posto tranquillo... posso sedermi?- chiesi, tirandomi indietro i capelli.

-Speravo che saresti venuta-

Quelle parole mi sorpresero e mi percorsero come un brivido. Le labbra mi s'incurvarono in un sorriso senza che potessi controllarmi. Il mio corpo rispondeva a lui senza che potessi fare nulla per controllarmi. Mi sedetti al suo fianco, stringendomi le ginocchia al petto. L'aria fresca della notte mi accarezzò il viso. Chiusi gli occhi godendomi per un istante quella dolce carezza.

-Sono sbagliato-

Il modo in cui lo disse, come un'accusa, mi fece sollevare le palpebre. Fissai il cielo scuro, le stelle che brillavano gelide.

-L'ho sempre saputo, in me c'è qualcosa di sbagliato... un piccolo dettaglio fuori posto, è ereditario, lo hanno tutti gli uomini di famiglia- continuò, la voce carica di sentimenti che non potevo comprendere –è una spina che preme... io... sono un mostro- sussurrò le ultime tre parole, ma su di me ebbero un effetto devastante. Le sentii vibrare nella mia anima, graffiare, affondare le zanne, strappare. Sono un mostro. Era quello che avevo sempre pensato, perlomeno in parte.

-Tu non sei un mostro- gli risposi, il tono pacato, lo sguardo perso in mezzo a quel mare infinito di stelle –non potrei mai definirti un mostro-

-No, tu sei buona, la luce non definisce mostruosa l'ombra, non ci riesce, anche se sa che la è- si voltò verso di me e io non potei far altro che ruotare la testa verso di lui, come se i miei occhi attirassero i suoi.

-Ammettiamo anche che tu sia mostruoso... beh, io ti voglio anche così, anche mostro... ammetto che ho un debole per i cattivi- feci un mezzo sorriso, sperando di ottenere uno suo, di riflesso. Non fu così.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now