69. SEI MESI DOPO

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Sei mesi dopo

Affondai il cucchiaino nella nuvola di panna che copriva la coppetta di gelato, quindi me la portai alle labbra. Amaro. Il gusto amaro mi invase la bocca. Mi costrinsi a soffocare una smorfia, ma Sarah, sensibile come tutte le amiche, comprese che c'era qualcosa che non andava. Lasciò il cucchiaino, che affondò nel mare di gelato, e allungò la mano per sfiorarmi il braccio.

-Lo pensi?- mi chiese, i fermagli a forma  di giraffe di peluche che le dondolavano tra i capelli.

Non risposi subito. Mi strinsi nelle spalle per prendere tempo, per cercare di mettere insieme i pezzi di quei pensieri che continuavano ad andare in giro, a fluttuare nella mia mente. L'angosciosa verità era che io pensavo sempre ad Algol. Non c'era istante in cui lui non si affacciasse nei miei pensieri, in cui non fosse una parte di me. Nulla aveva più lo stesso sapore. Il cibo era amaro, perfino la Rose Cake aveva un sapore terribile.

-Non ha lo stesso sapore di una volta- mi aveva confidato un pomeriggio Sarah –è buonissima, ma ha un retrogusto diverso... sa di disperazione-

Era impastata con un dolore lacerante. Merce diceva che la brava cuoca mette i sentimenti nel suo cibo, lo spalma con ciò che le muove le corde del cuore. Era ciò che facevo io.

-Certo che lo pensi- mi anticipò Sarah, strappandomi dai miei pensieri.

-Qualche volta- bugiarda, ero una bugiarda. Chi nega l'amore in quale girone infernale deve finire?

-Perché non lo chiami?- continuò Sarah. Avevamo già fatto quel discorso tante di quelle volte che avevo perso il conto.

-Non lo so- ammisi. Continuavo a sentire Penny. Ci telefonavamo spesso, attraverso di lei avevo notizie di Algol, sapevo che era partito anche lui era l'università, che studiava informatica, che continuava a dipingere, che brillava con la sua ombra. Avevo fatto promettere a Penny di non dirgli che ci sentivamo. Non era necessario, al contrario, sarebbe stato solo doloroso.

-Dovresti farlo... non capisco perché lo lasci andare così... hai trovato l'amore, Sherry! A quanti capita?- lo sguardo le brillò. Era cambiata molto in quei mesi. Non indossava più abiti infantili, ma magliette che evidenziavano il suo lato più femminile.

-Un giorno lo farò-

Sarah sbuffò, facendo muovere una ciocca di capelli che le rigava la fronte. –Bugiarda, sei una pessima bugiarda-

Feci spallucce, come se non m'importasse. Invece m'importava. Perfino l'aria della notte non profumava più dei suoi misteri da quando lui non c'era. Era crollato tutto e io ero rimasta sotto le macerie.

-Come posso farti capire?- sospirò Sarah.

-Pensa piuttosto a mangiare il gelato, si sta sciogliendo- mi affrettai a dirle, nella speranza di cambiare discorso.

-Uffa- prese il cucchiaino e ricominciò.

-Piuttosto dovresti pensare a Roger- la punzecchiai, bisognosa di spostare l'attenzione. Avevo bisogno d'aria, di sentirmi libera.

-Roger?- finse di non comprendere.

-Lo so che vi sentite spesso... potrebbe venire a trovarti-

-Sì, potrebbe... a proposito come procede il corso d'arte?-

Mi sfuggì un mezzo sorriso. Lo avevo cominciato da appena due mesi, ma dava già soddisfazioni. Per la prima volta sentivo la passione che mi scorreva nelle vene. -Bene- ammisi.

-Benissimo vorrai dire... ho visto quei disegni, sono perfetti-

Feci spallucce. Non come quelli di Algol avrei voluto ribattere, ma non lo feci.

-Lo pensa anche Julia-

Quelle parole catturarono la mia attenzione. Io e Julia ci eravamo avvicinate negli ultimi tempi. Eravamo quasi amiche. Avevo imparato a dare fiducia alle persone. Beh, forse non moltissima fiducia, ma certamente più di quanto facessi prima.

-Devo andare- dissi, alzandomi. La sedia strisciò sul pavimento.

-Di già?-

-Devo studiare- era solo in parte vero.

-Tu studi sempre- protestò. Certo, era il rifugio alla mia infelicità.

-Dovresti farlo anche tu- mormorai. Un modo per buttare su di lei la palla.

-Io?- fece una smorfia.

M'infilai la giacca rosa pallido. -Proprio tu... ciao- presi la borsa, appesa allo schienale della sedia, e mi diressi verso l'uscita.

La strada verso l'appartamento in cui io e Sarah abitavamo fu breve. Mia madre era stata contraria a quella sistemazione. Secondo lei una principessa dovrebbe stare in una casa lontana da tutti e controllata da una scorta. Non avevo voluto, ma ero abbastanza sicura che nell'edificio ci fossero molte persone che mia madre aveva piazzato per controllarmi. La cosa stranamente non m'infastidiva. Non presi l'ascensore, ma feci le poche rampe di scale che portavano al mio piano. Lo vidi subito. Qualcosa spuntava da sotto la porta dell'appartamento. Mi chinai. Una busta. La raccolsi, il cuore che martellava. Riconobbi subito la calligrafia e il mondo scomparve. Aprii subito la lettera, le dita che tremavano per l'agitazione.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Nel prossimo capitolo scoprirete cos'ha scritto Algol.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now