38. IL BALLO

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L'aria profumava di primavera, sogni e promesse non mantenute. Il sentiero si snodava di fronte a noi. Algol aveva dovuto lasciare l'auto -una macchina sportiva rossa fiammante- al cancello. Una guardia dall'aspetto burbero aveva voluto vedere i documenti di Algol.

-Non credo di stargli molto simpatico- aveva scherzato il mio accompagnatore.

Avanzai, le scarpette che affondavano nel terreno scosceso, tra l'erba che mi sfiorava le caviglie, gelida. Le mani erano strette ai lati dell'abito e lo tenevano leggermente sollevato per evitare di inciampare. Algol camminava al mio fianco, il passo solenne. Non mi guardava mai direttamente, ma ogni tanto mi lanciava uno sguardo di nascosto. Voleva forse accertassi che non rovinassi l'abito. Oppure voleva accertarsi che non sfuggissi. Non vidi il sasso per terra e ci posai la scarpetta sopra -un paio di Penny, un po' troppo largo. Sentii il suono stridulo della suola che scivolava su di esso e mi sfuggì un gemito a metà tra il sorpreso e lo spaventato. Mi sentii sollevare a mezz'aria e qualcosa mi afferrò per la vita, impedendomi di cadere.

-Sei sempre il solito disastro- commentò Algol, la voce ruvida.

Non lo guardai. Non si guarda direttamente il sole, è troppo pericoloso, ricordai. Restai immobile alcuni istanti, sentendo il mio corpo rigido, come se fosse stato completamente ghiacciato. Il mio fianco aderì al suo petto e sentii le sue labbra avvicinarsi al mio orecchio, sfiorare il lobo, facendo tintinnare il mio orecchino.

-Stai più attenta- parole di fuoco che bruciarono la mia pelle ed entrarono nella mia carne. Veleno bollente nelle vene. Il mio sangue ribolliva.

Aprii la bocca per replicare, ma non ci riuscii. Cos'avrei potuto dirgli? La lingua era impacciata. E poi Algol mi lasciò, tanto rapidamente quanto mi aveva presa. Non dovemmo proseguire ancora per molto. Il palazzo comparve di fronte a noi. La sorpresa mi ammutolì.

Il portone era altissimo e notai che era ricoperto da un metallo dorato. No, non era solo dorato, compresi, il cuore che mi cavalcava nel petto, quello era oro. Vero oro. E quello era il mio palazzo. Fui percorsa da un brivido.

-Non male, vero?- mi sussurrò Algol.

Lo ignorai e lui, come per farmi un dispetto, mi circondò la vita con un braccio. Mi sforzai di non mostrare quanto fosse bruciante quella stretta, quanto mi facesse tremare da capo a piedi.

-I gradini- mi avvisò in un soffio –non voglio doverti salvare di nuovo-

-Molto spiritoso- borbottai.

-Io sono sempre spiritoso-

Feci per replicare, ma le ampie porte si aprirono in quel momento. Fui abbagliata dalla luce della sala. Barcollai e indietreggiai, colpita da quel chiarore. Algol serrò la sua stretta.

-Schiena dritta e passo deciso- mi ordinò.

-Sembri la mia matrigna- lo presi in giro.

-Faccio finta che sia un complimento- borbottò, il suo respiro che vibrava contro la mia guancia.

-Non lo è- precisai.

-Immagino- e avanzò, tirandomi con sé. Mi ritrovai a pensare che noi due eravamo davvero indissolubilmente legati. La cosa mi confondeva. Era come se ci fosse davvero un filo invisibile che ci legava. Mi venne in mente la leggenda del filo rosso che univa le anime gemelle. Scacciai quel pensiero prima che iniziasse anche lui a graffiare la mia mente, prima che l'idea che io e lui fossimo legati affondasse troppo dentro di me.

Percorremmo la sala, fianco a fianco. Gli altri invitati si fermavano e si voltavano verso di noi, come se ci fosse qualcosa di magnetico, come se ci fosse in noi un urlo silenzioso che attirava tutti i presenti. La musica era dolce, allegra, tentatrice.

Baciami, poi ti spiego (a Cinderella story)Where stories live. Discover now