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Mi colpì da dietro sul braccio, poco sopra il gomito piegato. Mi voltai spaventata finché non vidi a terra un ombrello chiuso, di un bianco diventato color ghiaccio, per essere carini, con degli elefantini disegnati premurosamente male di un colore sporco, come se ci fosse stato un omino a colorarli di celeste e poi ripassandone i contorni di nero avesse pastrocchiato, che se fossi stata io lì presente glielo avrei fatto rifare tutto da capo. Insomma, l'ombrello di Flavia.

«Ci potevi almeno aspettare!»

«Pensavo foste salite dalla porta centrale dell'autobus», la osservai mentre si piegava a raccogliere l'ombrello, sbilanciata dallo zaino sulle spalle.

«Se, se... te ne volevi stare per affari tuoi e hai allungato il passo!»

Non era vero. Cioè, non del tutto. Volevo stare da sola con le cuffie nelle orecchie ma non avevo allungato il passo, era semplicemente più lungo del loro. Sorrisi senza mostrare i denti e alzai il sopracciglio, mossa che metteva in confusione parecchie persone, tra cui sicuramente Flavia, perché incapace di interpretarmi. Erano scuse? Era una conferma? Stavo scherzando? Me ne fregavo? E la cosa finiva lì.

Rimisi a posto il lettore cd nella borsa di scuola e ascoltai Viviana inveire contro il professore di ragioneria per qualche minuto, finché non finimmo i panini che ci eravamo portate per pranzo. Poi, decidemmo di entrare.


«Scusate il ritardo ma oggi vi porto una grande novità e mi perdonerete sicuramente!»

Bene o male furono queste le parole che mi dovevano far capire di un cambiamento funesto in arrivo.

Mentre tutte si facevano in circolo intorno a Marzio, il nostro direttore di coro, io rimasi dov'ero, appoggiata al muro in disparte. Dopo una lunga suspense, durante la quale cercò di godere dell'attenzione del gruppo fino all'ultimo, Marzio ci disse che stava mettendo in piedi uno spettacolo. Niente di meno che una serata di beneficenza in un teatro con un pubblico di persone famose (o importanti o comunque coi soldi) accompagnate da un'orchestra e con due personaggi di un certo livello, che avrebbero cantato con noi! E visto che per poter mettere su uno spettacolo coi fiocchi dovevamo dare il massimo non solo nel canto, ma era indispensabile essere in grado di muoverci e saper stare sul palco, un coreografo con dei ballerini ci avrebbero seguito nei mesi a venire affiancando le loro lezioni a quelle di canto. Boato. Gente che saltava, che si abbracciava, batteva le mani, una finse uno svenimento, l'altra ripeteva a sé stessa che era giunto il suo momento, risate, qualche fischio e un paio di urli. Forse più di un paio. E io, rassicurata dal mio muro bianco e liscio che guardavo la scena chiedendomi perché oltre a me non c'era nessun'altra persona normale che diceva, ad esempio: «Ma che cazzo stai dicendo? Ma chi vuoi che venga a vedere proprio noi? Chi sono questi disperati con cui lavoreremo? E i ballerini? Ma chi siamo Baby di Dirty Dancing che impariamo a ballare in un giorno? Da dove vengono? Ma come è uscita questa cosa? Quale sarebbe questo teatro che ci ospita per questa serata? L'orchestra? Ma quando sarebbe? Quanto tempo abbiamo per prepararci, cinque anni?» Né queste né altre domande vennero poste. Tutte in visibilio, agitate, felici e già immerse nella nuova avventura.

Cercai l'uscita con gli occhi. Dall'altra parte della sala. Avrei potuto attraversarla e uscire, in quel momento nessuno se ne sarebbe accorto. Sarei potuta andare a casa, incamminandomi verso la fermata dell'autobus con le cuffie nelle orecchie e tutto sarebbe finito. Invece tentennai, stordita non so se dalla notizia o per essermi resa conto per l'ennesima volta che le mie reazioni non combaciavano mai con quella degli altri. Che proprio non li capivo, non capivo la razza umana eppure in teoria ne facevo parte. Divagando su questi pensieri non ascoltavo più gli altri, finché Marzio non riprese parola, dicendo che ci sarebbero state delle soliste e dei duetti. Ah! Mi sembrava strano che ero rimasta per niente, era questo che l'universo voleva che ascoltassi per darmi la forza di scappare e non voltarmi indietro.

GinevraOnde histórias criam vida. Descubra agora