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Quando terminò di bere il latte, intuendo che non sarei andata oltre quel biscotto, mi fece fare un giro per il salone doppio. Dei quadri suggestivi catturarono subito la mia attenzione: raffiguravano delle fotografie di paesaggi in bianco e nero: alte scogliere col mare in burrasca, foreste riprese dall'alto, semplici rocce. Erano potenti, vibranti, mi lasciarono una strana sensazione addosso, un misto tra forza e sgomento. Il salone aveva una particolare forma a L nella parte più nascosta notai diverse tele coperte.

«Dipingi?» strabuzzai gli occhi.

«Sì... oddio, ho iniziato ora. Mia madre è una pittrice, da ragazzo mi ha insegnato qualcosa. Ora che ho parecchio tempo libero ho pensato di dedicarmici. Vuoi vederli?»

«No», avevo paura di scoprire qualcosa di lui che non volevo sapere. Del tipo che disegnava dei nudi o il viso di qualche donna che amava o della natura morta. La natura morta non mi piaceva.

«Grazie! Noto che riponi molta fiducia nelle mie doti artistiche!»

«Cioè, non devi farmele vedere per forza. Se sono coperte, un motivo ci sarà.»

«Le copro altrimenti mi sento troppo osservato», spostò lo sguardo di nuovo sulle tele coperte, come se riuscisse a vedere attraverso le stoffe bianche. Quindi non era la natura morta.

«Le usi come scusa al posto della collezione di farfalle?» La gelosia aveva già preso il sopravvento.

Gli si disegnò un sorriso sulle labbra, aveva capito cosa provavo.

«Non credo funzionerebbe,» scoprì qualche tela, «vedere dipinti gli occhi di qualcun'altra non penso sia molto eccitante.»

Lo dici a me, pensai.

Tutte le tele che aveva scoperto avevano un occhio disegnato sopra, qualcuno il sinistro, qualcuno il destro, mai insieme. Mentre mi avvicinavo notai che all'interno dell'iride, sempre di colore verde e con un bordo marcato blu, c'erano degli oggetti o dei paesaggi disegnati che occupavano anche la pupilla, creando un gioco di colori e chiaroscuri che poteva fare giusto un professionista.

Lo guardai meravigliata.

«Sono stupendi! Sei bravissimo!» mi lasciai dire con entusiasmo.

«Merito della modella.»

«Immagino.» Quella puttana. Sentii di nuovo i muscoli del mio visto tirarsi e rivelare il mostro che avevo dentro.

Dovette accorgersene perché rimediò: «Sono i tuoi».

«», sorrisi sarcastica. Sentivo scendere i canini.

«Non li riconosci?»

Gli lanciai uno sguardo che gli diceva di smetterla, che non ero una stupida, che doveva finirla di prendermi in giro, che stava per fare una brutta fine lui, i quadri e il letto in camera e che non avevo gli occhi così belli.

Provò a convincermi, facendomi notare i particolari della forma dell'occhio, il colore, il contorno dell'iride.

«Ok, sì ci credo,» gli diedi le spalle allontanandomi, «infatti non sono mai disegnati insieme, del resto col mio occhio strabico sarebbero venuti male sulla stessa tela.»

Tornai dalla parte opposta del salone e mi sedetti sul divano. Pensava veramente che fossi così scema da credergli? Avrebbe potuto lasciarli coperti e basta, senza inventarsi nulla.

Ma quando tornò da me, con tutto il suo splendore nonostante fossero le 6.30 di mattina dopo una nottata in piedi, mi rilassai di nuovo accantonando i pensieri che avrei ritrovato con comodo più in là. Ora dovevo godermelo.

GinevraWhere stories live. Discover now