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Continuavo a essere fermata da qualcuno che mi chiedeva di andare a ballare, ma trovavo sempre una scusa per non farlo. Da una parte li capivo, sembravo la regina che non voleva mischiarsi con la plebe e andava in giro a fare conversazioni, spesso accompagnata dal consorte più anziano. Come se tentassi di dimostrare di avere uno status diverso ora. La cosa non mi piaceva affatto, non sembravo una diciottenne.

A mettere le cose in chiaro ci pensò Lele, almeno per le persone che si trovavano vicino a noi in quel momento.

«Ragazzi, ma vi risulta che Ginevra balli quando c'è qualcuno di cui è follemente innamorata nei paraggi?»

Lo guardai supplicando pietà con gli occhi.

«Alle nostre feste ballava sempre», protestò Patrizio.

«E no! Solo quando Enea non era presente.» Poi si rivolse direttamente a Damien mentre speravo si aprisse una voragine sotto di me e mi inghiottisse: «Quindi, amico mio,» gli mise una mano sulla spalla guardandolo dritto negli occhi come se gli stesse facendo una rivelazione importante, «finché ci sei tu, lei non ballerà mai!».

Contrassi il viso in una smorfia di dolore, a sentirgli dire quella triste verità. Gaia e Stella mi trascinarono via lanciando in aria un: «Ve la riportiamo subito!». Mi portarono vicino al bancone del bar, dove al volo ordinarono dal bere qualcosa di "colore rosa".

Dovevo riprendermi. Dovevo cercare di convogliare tutte le mie forze per andare a spaccare con una bottiglia la testa a Lele.

Intanto Stella era tutta elettrizzata e continuava a sproloquiare: «È proprio un fico! Non ci hai detto niente, come è successo?».

«Com'è successo cosa? Non stiamo mica insieme.» Annusai il cocktail, sentivo odore di rum mischiato alla fragola. Arricciai il naso.

«Ma scherzi? Ti sta attaccato come se foste una coppia!»

«Era con te che messaggiava la mattina di Capodanno?» Gaia si rivolse a qualcuno oltre le mie spalle. Chiusi gli occhi. Altra maledetta traditrice.

«Spero di sì.»

«Io cercavo di dormire e lei con quei tasti del telefono... Certi sospiri!»

«Gaia, vaffanculo pure a te!» le sibilai.

Sull'invito per quella sera che c'era scritto? Presentarsi armati di bastardaggine?

Iniziarono le note lente di una canzone, quella che gli avevo insegnato in italiano. Un'esplosione allo stomaco che risalì verso il petto. Fiamme in gola. Damien chiese il permesso di portarmi via, ormai mi sembrava fosse lui il mio unico rifugio. Tolse il bicchiere dalle mia presa e lo allungò a Gaia.

Tenendomi per mano mi portò in pista, in un punto leggermente appartato. Almeno lui aveva capito che non volevo stare in mezzo. Già solo il fatto che mi tenesse la mano e glielo lasciassi fare, era un enorme passo avanti per il nostro rapporto. Se così si poteva chiamare. Forse avrei vissuto il momento più rilassante della serata. Mi avvolse col suo braccio destro per tenermi stretta a lui e mi prese la mano con la sua sinistra.

«Te la ricordi ancora?» Non aveva più cantato quella canzone.

«No.» Poi mi strinse di più e me la sussurrò tutta all'orecchio.

Se avessi potuto scegliere, quello sarebbe stato il mio momento perfetto per morire.

Sarei voluta rimanere così per sempre, doveva essere il mio ultimo ricordo di vita: i nostri corpi attaccati a partire dalle gambe, la sua destra in mezzo alle mie, passando per il bacino fino al petto, i nostri visi appoggiati l'un l'altro, la sua bocca che toccava appena il mio orecchio mentre cantava mi stava provocando delle sensazioni che avrei definito come un dolce orgasmo prolungato. Appoggiata a lui che mi conduceva in lenti movimenti, mi chiesi se al termine della musica sarei stata in grado di reggermi sulle gambe. Mentre la canzone moriva e io con lei, il dj partoriva "Water runs dry" e dalla sua presa capii che non mi stava lasciando, ma avrebbe prolungato il mio piacere.

Finché non vennero a tirarmi una secchiata di acqua gelida addosso quelle maledette del coro che ebbero la brillantissima idea di mettersi a cantare il ritornello intorno a noi. Quando lo avrei mai rivissuto un momento così? Quando?

Con estrema lentezza allontanò il suo viso e fu come se si fosse tolto da dentro me, lasciandomi insoddisfatta. Anche in lui riconoscevo un'espressione diversa dal solito. Senza parlare mi domandò se volevo cantare e io scossi leggermente la testa, poi guardai al di là delle sue spalle e vidi Marzio. Non ero sicura che fosse stato lui a far avvicinare il coro, ma vederlo lì sorridente mi fece cambiare idea. Tornai a guardare Damien, avrei cantato.

Quindi lui iniziò e io gli andai dietro.

Mentre la canzone finiva, partirono gli applausi. Più di qualcuno gridò: «Bacio!», sicuramente il primo fu Vincenzo.

In sottofondo il ritmo cambiò e si passò ad un pezzo di salsa. Ancora tra le braccia di Damien, non sapevo come sottrarmi alla gogna pubblica. Dal cielo arrivò Simone, che mi tolse la mano dalla spalla di Damien con fare arrogante.

«Tanto tu questa non la sai ballare», e mi portò via.

Feci in tempo solo a notare il viso scuro di Damien, mi girai per non vedere altro. Mentre la pista si ripopolava, Simone raggiunse il centro. «Allontaniamoci il più possibile che se gli capito a tiro mi spacca la faccia!» sogghignava.

Iniziò a condurmi in quel passo a due latino, pieno di figure e intrecci. Era bellissimo ballare con lui, semplice, spontaneo. Cercai di non pensare a Damien, sicuramente si era allontanato dopo essere stato trattato così da Simone, anche solo per non averlo davanti agli occhi. Lui, intanto, prese a scendere su di me con movimenti sempre più audaci. Mi faceva sorridere il suo prodigarsi per la mia impossibile storia d'amore, tuttavia rischiava una reazione da parte di Damien, non perché fosse geloso di me, ma per la marcata mancanza di rispetto. Dovevo dirgli di smetterla, non avrei mai voluto vedere Damien avere un eccesso di rabbia, non mi piacevano le persone che reagivano senza pensare, istintive, quelle che non si controllavano. Non mi piacevano le persone come me.


In uno dei rari momenti di tranquillità che stavo trascorrendo su un divanetto con un mio caro amico d'infanzia, fui interrotta per l'arrivo della torta: un enorme millefoglie alle fragole, dall'aspetto golosissimo, a forma di 18. Volevo scomparire. Avrebbero iniziato con le foto, ne ero sicura. Finché le facevano a mia insaputa mi interessava poco al momento, bastava non dovermi mettere in posa.

Raggiunsi il tavolo accompagnata dal mio amico che comprendeva il mio disagio, ma ne rideva apertamente mormorandomi finte parole di consolazione che in realtà aumentavano la mia pena.

Lo sguardo sempre basso, attesi con impazienza che terminassero di cantarmi la canzoncina degli auguri e presi coscienza del fatto che non avrei mai soffiato sulle candeline. Lo trovavo... infantile. Quindi le spensi buttandole dentro due dei tantissimi bicchieri di costoso champagne, posizionati elegantemente sul tavolo. Poi sorrisi soddisfatta di me stessa per quella genialata. Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché risero tutti.


«No, non mi fate le foto. Ve le faccio io a voi. Tanto so purtroppo come sono fatta, il ricordo lo devo avere io di voi», continuai a insistere.

«Ma quando ti ricapita di essere così figa!» urlò qualche mio amico e ne rimediai subito una in cui mostravo il dito medio nella sua direzione.

«Dai, Damien!» qualcuno lo incitò ad avvicinarsi a me. Dopo aver sprecato qualche "No", mi voltai verso di lui. Con lo sguardo gli feci capire di non muoversi.

«Ok, facciamo qualche gruppo molto numeroso così con quattro foto ce la caviamo e siamo tutti felici!» cedetti.

Senza bisogno di dirlo, le foto non furono solo quattro. E quando toccò farla con Damien, Keira, il marito e quelli della band, caso strano lui era vicino a me. Cercai di mantenere un'espressione finto scocciata che nascondesse la vergogna che provavo.

«Non ti piace proprio farti fotografare.»

«No. Poi mi ricorderei di questa serata che vorrei cancellare al 98%.»

«E quel 2% mancante a cosa corrisponde?» Nel frattempo, continui flash.

«Inutile che te lo spieghi, non c'eri», e sorrisi alla fotografa. 

GinevraHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin