37.

63 16 161
                                    

1° gennaio 2001

Per mezzogiorno ero a casa, dovevamo pranzare tutti insieme con la mia famiglia e passammo il pomeriggio a giocare a carte, come da tradizione. Verso l'ora di cena mi liberai portando fuori i cani, avevo bisogno di aria fresca e solitudine.

Con le cuffiette alle orecchie passeggiai, poi sedetti sullo schienale di una panchina, senza poggiare i piedi sulla seduta, mio padre mi strillava sempre quando lo facevo, perché chi sarebbe venuto dopo di me si sarebbe sporcato i vestiti. Aveva ragione.

Ogni tanto dei fari illuminavano il parco, erano tutte auto che passavano dritte, dirette alle loro calde case.

Vidi Meringa puntare il muso oltre le mie spalle, le orecchie sempre ben dritte le donavano quell'aspetto da pipistrello che spesso incuteva timore. Non mi girai ma continuai a osservarla, stava guardando troppo lontano, se avessi avuto qualcuno dietro di me gli sarebbe stata già addosso. Non come Roby che era sdraiata per terra indifferente al mondo.

Poi la vidi scattare e a quel punto mi preoccupai. Non per lei né per me, ma per l'oggetto del suo interesse.

Mi girai indecisa se chiamarla. Era già addosso a una persona che se ne stava impalata in mezzo al parco con lei che le girava intorno annusandola nervosamente.

«Meringa, vieni qui!» ma già mi ero alzata perché sapevo che non mi avrebbe dato retta finché non avesse stabilito che fosse innocua.

Erano a una ventina di metri da me, dopo pochi passi riconobbi la persona.

«Meringa, sbranalo!» con finta voce piatta. Il cuore ebbe uno spasmo.

«Un bel cane da guardia», ancora immobile.

Svogliatamente Roby trotterellò verso di loro e gli leccò le mani. Non potevano essere più diverse.

«Dai, Meringa. Andiamo, lascialo!» mi ero fermata a distanza, alla fine cedetti e la andai a prendere per il collare, non lo avrebbe mai fatto avanzare.

Lo guardai appena e mi diressi di nuovo verso la panchina. Che faceva lì? Perché era venuto?

«Allora, almeno su una cosa non hai scherzato: vieni davvero qui a portare i cani.»

Giunti alla panchina mi sedetti di nuovo sullo schienale e lui rimase in piedi di fronte a me. La poca luce che lo illuminava risaltava i suoi bei lineamenti.

«Come mai da queste parti?» Mi faceva male il petto, nella testa mille pensieri che schizzavano andando a sbattere contro il cranio, troppo piccolo per contenerli. Speravo che fosse almeno resistente, esternamente cercavo di non far trapelare niente.

«Non ci siamo fatti gli auguri di Natale.»

Annui guardando altrove, verso il buio. Roby continuava a leccarlo, Meringa era in giro chissà dove.

«Mi dispiace di non aver fatto gli auguri a Keira, sapevo sarebbe partita. Sono stata maleducata, ultimamente lo sono spesso.»

«Non preoccuparti. Anzi, ti ha mandato questo!» e tirò fuori da una busta una scatola di cartone confezionata. Oddio no, odiavo ricevere regali, mi imbarazzava da morire. Poi da lei... Ero diventata tutta rossa, speravo che l'oscurità mi aiutasse a nasconderlo.

«Non avrebbe dovuto.»

«Ha fatto un regalo a tutte, li ha portati il giorno prima di partire. Ma tu non c'eri e ha chiesto a me di dartelo.»

Tenevo il pacchetto sulle gambe, ormai piegate per non farlo cadere. Mio padre mi avrebbe perdonato per aver sporcato la panchina? Ero indecisa se aprirlo o meno, se farlo davanti a lui.

GinevraWhere stories live. Discover now