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14 marzo 2001

«Vieni qui.»

Mi trascinai da lui.

«Devi smetterla.»

Lo guardai con lo sguardo vuoto che mi portavo avanti da dieci giorni, risultato di pianti ininterrotti e dai tranquillanti che mi ero fatta segnare dal mio generoso medico, di cui avevo ignorato deliberatamente le istruzioni di dosaggio.

Non mi interessava se mi aveva visto i segni che mi ero lasciata sulla schiena con la cinta. Avrebbe dovuto vedere quelli che avevo sul cuore, quelli sì che erano spaventosi. Ero stata pure diligente, avrei potuto farmeli in posti più visibili. Bastava che allo spettacolo non mi mettessero un vestito scollato dietro. Insomma, mi ero dimostrata responsabile.

«Mi ascolti? Ti stai distruggendo!» mi scosse Mathias. «Cosa prendi? Sembri fatta. Come pensi di andare avanti?»

«Trascinandomi», e me ne andai.


Ero stanca anche del modo in cui venivo sempre squadrata da tutti, cosa cavolo avevano da guardare? Non avevano mai visto una persona guastarsi dall'interno? Marcire dentro finché i segni non si rendevano visibili anche fuori? Bene, ora ne avevano una davanti. E Marzio cosa voleva da me? Si sarebbe dovuto preoccupare di altro, della sua fottutissima vita che stava finendo. C'era forse qualcosa che doveva ancora aggiustare? Perché non se ne occupava invece di guardarmi con quell'espressione accigliata? Cos'era, aveva paura che morissi prima di lui? No, non sarei stata così fortunata. Poi, non ero io quella tanto brava che andava bene già alla prima? Che bisogno c'era di continuare a provare, potevo andare direttamente al concerto risparmiandomi quell'agonia. E visto che c'ero ingoiai altre gocce di tranquillanti, chiusa in bagno, onde evitare che passasse l'effetto. Ormai le prendevo senza diluirle, facevano schifo, erano amare e mi bruciavano la gola, ma era più veloce e davo meno nell'occhio che usando un bicchiere con l'acqua.

Qui poi non c'era quel bel ragazzo alto, moro, occhi verdi? Ah sì, eccolo lì seduto. I primi giorni non era venuto per ragioni di lavoro, dissero. Che risata mi ero fatta! Quando era tornato avevano provato a farci cantare insieme ma lo guardavo con così tanto odio che poi evitarono. Forse speravano fosse qualcosa di passeggero? Poveracci.


«Io non posso andare, quindi andrete voi.»

«Non voglio, non sono la persona adatta.»

«Nessuno lo è. Nessuno è pronto a guardare dei bambini sui loro letti di ospedale e fare finta che andrà tutto bene quando già si sa che non sarà così.» Marzio era nero.

«Non ci so fare coi bambini.»

«Non ci sai fare con nessuno! Ma sai cantare ed è quello che ti viene richiesto», mi attaccò ancora più duro.

«È una punizione?»

«Il mondo non gira intorno a te. Ci sono dei ragazzini che non usciranno da quell'ospedale vivi e tu mi domandi se ti ci mando per punire te?»

Mi sentii uno schifo ma non lo diedi a vedere, avevo ancora in circolo qualcosa che mi faceva sentire meno in colpa.

«L'appuntamento era già fissato per una mia semplice visita. Io non posso andare e ho pensato di regalare a quei bambini, per i quali stiamo facendo il concerto che sembrava appoggiassi per raccogliere fondi per la cura della loro stramaledetta malattia, qualche canzone da farvi cantare per distrarli dalla loro sorte che di certo non si sono cercati e che è molto più triste della tua che a diciotto anni ci sei arrivata!» Mentre parlava alzava il tono della voce e alla fine quasi mi urlava. Non lo avevo mai visto così. La mia espressione rimase la stessa ma aveva diradato gli ultimi effetti delle gocce. Avrei dovuto prenderle in un altro orario, arrivavo a fine prove che l'effetto stava sempre svanendo.

GinevraWhere stories live. Discover now