23.

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Entrai in cucina per prendere lo zaino, lui mi aspettava sulla porta. Chiudemmo a chiave e la lasciammo in un vaso accanto all'entrata, un pessimo nascondiglio usato diverse volte che al momento non era stato stranamente ancora scoperto da nessun ladro.

Appena in auto mi sentii avvolta dall'agitazione. Non sapevo cosa dire e cercai di pensare a un punto dove farmi lasciare per poi continuare da sola, dargli la sensazione di avermi accompagnata ma non farlo in realtà avvicinare a casa mia. Mi infastidiva disturbarlo e sembrare una che se ne approfittava o una ragazzina da accompagnare perché indifesa. In più avevo paura di incontrare i miei amici al solito muretto: se mi avessero vista scendere dall'auto lo avrebbero raccontato subito a Enea e lui avrebbe pensato di aver avuto ragione.

«Allora, in quale direzione andiamo?»

«Puoi lasciarmi in fermata.»

«Non lo farò. Quindi, indicami la strada, non sono molto esperto.»

Al volante era ancora più sexy: mi piaceva come lo teneva saldo e inseriva le marce, lo sguardo sullo specchietto, il modo di guidare tranquillo e attento lo rendeva ancor più affascinante.

«Per me possiamo andare avanti per tutta la notte finché accidentalmente non capitiamo vicino casa tua», riprese lui non ricevendo risposta.

«Sì, scusa, ero sovrappensiero.»

Con le indicazioni ero una frana, andavo poco in auto e non mi ponevo il problema di guardare le strade mentre ci ero sopra. Cercai di concentrarmi per evitare di allungare il percorso dandogli l'impressione di farlo apposta per stare con lui.

Odiavo quella situazione, mi faceva sentire in difficoltà, in debito, rimarcava la mia inferiorità. Non parlammo quasi per niente se non per dargli continue istruzioni, sembrava molto concentrato sulla guida. Ringraziando la buona sorte non c'era traffico e in poco tempo arrivammo nei pressi di casa mia. Lo feci fermare prima, lungo il viale alberato distante un paio di cento metri dal curvone che portava alla strada in cui abitavo.

«Qui?» sollevò le sopracciglia, scettico. «Abiti in questo giardino? Chi sei, la fata dei fiori?»

«No, lo gnomo dei funghi velenosi», mi finsi acida. «Qui va benissimo.»

«Non ti lascio neanche qui.»

«Abito lì», feci un gesto con la mano indicando genericamente i palazzi che si vedevano in lontananza.

Lui rimase in silenzio a fissarmi, era un no.

«Se ti lascio venire fin lì avrai difficoltà a trovare la strada per andartene via, da qui è più facile uscire dal quartiere per andare... dove devi andare.»

Ancora nessuna risposta.

«Vedi quel parco?» indicai. «Ci faccio passeggiare i miei cani la sera. A tutt'oggi sono viva. E ora che torno, li prendo e ce li porto. Quindi non ci sono pericoli».

«Ok, allora ti accompagno sotto casa e ti aspetto. Così me li fai conoscere.»

Sorrisi scuotendo la testa, mi stava mettendo alle strette e non sapevo più come uscirne. Eppure era difficile intrappolarmi.

«Qual è il vero motivo per cui non vuoi che ti accompagni? Il tuo ragazzo geloso?»

Come se mi avesse punta con uno spillone infuocato, sollevai la testa che in quel momento ancora stavo scuotendo.

«Nessun ragazzo», mi udii dire e dalla sorpresa spalancai gli occhi. Avrei potuto tergiversare.

«Ah e come mai...»

GinevraDonde viven las historias. Descúbrelo ahora