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27 febbraio 2001

Stavo per fare tardi a scuola ma mia madre aveva deciso che era il momento giusto per parlare. Prese a spiegarmi i suoi timori per tutti i miei cambiamenti, fisici e comportamentali. Si era accorta che stavo meglio rispetto a qualche tempo prima, che ero più serena, che ultimamente non avevo avuto grosse crisi di pianto, ma aveva capito che mi ero innamorata di qualcuno e il fatto che non le volessi dire nulla neanche a grandi linee, le faceva pensare che forse era un rapporto poco tranquillo, instabile. Beh, lo aveva definito bene. Cercai di rasserenarla, senza però darle ulteriori informazioni. Le dissi che sì, ero innamorata, ma che non stavo insieme a lui, che comunque la maggior parte del tempo lo passavo alle prove o con le amiche e che, come tutte le volte che ci si innamora, ci sono alti e bassi.

Non potevo raccontarle chi fosse, si sarebbe allarmata come tutte le mamme che vengono a conoscenza di un amore folle per un attore molto più grande della figlia che presto le spezzerà il cuore. Era una tragedia annunciata e lei si sarebbe angosciata quanto me, conoscendo già l'epilogo. Che senso aveva soffrire in due? Avrebbe raccolto i miei cocci quando sarei caduta frantumandomi a terra. La mia scelta di non allontanarmi da lui non doveva ricadere anche su di lei, non per tutto il tempo.


«Eccellente. Vedo che la letteratura inglese del XX secolo ti interessa.»

«Veramente le interessa di più l'americano del XXI secolo!» Germana alzò la testa dal diario in cui stava scarabocchiando. Le altre compagne ridacchiarono.

«Come, come? In che senso?»

«Niente, le lasci perdere», cercai di riavere la sua attenzione.

«Mi incuriosisce, invece...» la professoressa era giovane, simpatica, le sue lezioni interessanti.

«Il nuovo fidanzato è americano», Francesca, che alla festa del mio compleanno non smetteva di fare foto.

«No, non siamo fidanzati ma penso che posso continuare a ripeterlo fino alla fine dei miei giorni senza che mi ascoltino.»

«Va bene, però c'è una frequentazione.»

«Sì, diciamo forzata.»

Le altre mi deridevano.

«Sì professoressa, se lo vede lo capisce anche lei quanto può essere forzata!»

«Io ho le foto con me!» Francesca tirò fuori una busta dallo zaino. «Ve le avrei fatte vedere a ricreazione, ma approfittiamo!»

Mi voltai verso di lei, fulminandola. La cosa stava diventando di dominio pubblico, quando era terminato il periodo in cui non dovevamo far sapere a nessuno con chi stavamo preparando lo spettacolo? Alla mia festa, sembrava.

«Portale qui!» la professoressa fece spazio sulla cattedra, rivelando la ragazzina che era in lei.

Volevo già vomitare. Se avessi preso 4, quella storia non sarebbe uscita fuori e avrei avuto modo di bruciare le foto appena me le avesse date senza neanche guardarle. Già le immaginavo: obbrobriosa, con l'occhio storto, la pancia grossa, le spalle strette, accanto a un meraviglioso Damien. Mi stavano venendo le lacrime agli occhi.

«Che cazzo ti piangi?» Viviana mi scosse per una spalla mentre tutte erano intorno alla cattedra a guardare le foto e a fare esclamazioni.

«Faccio schifo!»

Si allontanò e senza perdere tempo a scegliere, tolse una foto dalla mano a qualcuna e tornò da me, l'unica distante dalla cattedra un paio di metri.

«Ah, qua fai schifo?» e mi piazzò la foto davanti agli occhi, mettendomela in mano. «Ti si sta sbriciolando il cervello. Piantala se no vai a finire male, te. Guarda come state bene, guarda come stai bene tu. Curati finché sei in tempo!»

GinevraWhere stories live. Discover now