69.

33 12 110
                                    

Mi sforzai di non pensarci, soffocai l'angoscia e cercai di fingermi in pace col mondo. Il paesaggio che scorreva fuori dalla macchina non poteva catturare la mia attenzione, era tutto buio.

Parlai per distrarmi.

«Com'è andata alla fine? Sei stato bene?»

Annuì convinto eppure sembrava pensasse ad altro, un senso di panico si irradiò in me.

Poi, d'un tratto, continuando guardare la strada: «Sei ancora innamorata di Enea?».

«Ti ho dato questa impressione?» cercai di risultare tranquilla, seppure un groppo in gola mi irradiò per le braccia un formicolio fastidioso.

«Non lo so, sembrate molto complici.» Sicuramente alludeva a un preciso momento, quando avevamo preso a scherzare con Patrizio e lo prendevamo in giro insieme ridendo e scambiando battute.

«Beh, se non lo fossimo, sarebbe molto triste. Siamo cresciuti insieme, abbiamo le stesse amicizie, gli stessi ricordi.»

Annuì di nuovo, sempre pensieroso.

«Perché non usavate il preservativo?»

«Così lo sentivo meglio», sorrisi crudele.

Frenò di colpo. Se avessimo avuto qualcuno dietro ci avrebbe preso. Mi guardò con gli occhi di fuori per qualche secondo poi riprese a guidare.

«Sei matta a rispondere così? Sto guidando. E ora non riuscirò a togliermelo dalla testa», mi rimproverò.

«Allora non farmi domande per cui non vuoi sentire risposta! Cosa volevi dicessi? Comunque prendevo la pillola, non eravamo incoscienti!» Sbuffai.

«E ora?»

«Cosa ti importa?» E iniziai a trovare interessanti i cartelli stradali.


Trascorremmo il resto del viaggio senza parlare molto. Lui assorbito dai suoi pensieri, io che cercavo di sfuggire dai miei. Provai a immaginare cosa stesse pensando lui, perché mi avesse chiesto se fossi innamorata ancora di Enea e poi quella domanda sul preservativo... Dio, chi era, mio padre?

Sentivo scorrere in fondo al mio cuore un fiume di tristezza. Si andava pian piano riempiendo con le piogge incessanti di angoscia per la sua futura partenza e si stava per riversare fuori di me con una cascata di disperazione. Qualche altro millimetro di pioggia e non ci sarebbe stato più nulla da fare, ancora prima del salto, avrebbe straripato allagando gli argini. Bastò una canzone.

"... but watching stars without you my soul cried, heaving heart is full of pain, oh oh, the aching, 'cause I'm kissing you, oh, I'm kissing you oh... Where are you now?... "

Continuai a guardare fuori dal finestrino mentre allungavo una mano per cambiare stazione. Ci riuscii, ma lui me la prese e rimise quella di prima. Non mi girai, non con quegli occhi pieni di lacrime.

Si portò la mia mano alla bocca e me la baciò dolcemente. Ero così arrabbiata con l'universo che non riuscii a viverla come una cosa bella, anzi, la mia rabbia cresceva ancora di più. Essere consapevole che lo avrei perso, non sapevo quando ma sapevo che sarebbe accaduto, mi faceva impazzire e iniziai a prendermela col destino che me lo aveva fatto incontrare.

A qualche centinaio di metri da casa mi girai innervosita verso di lui.

«Puoi anche lasciarmi la mano, non lo tocco più lo stereo. Sono arrivata», e con uno scatto me la ripresi.

Mi studiò un secondo, poi guardò di nuovo la strada.

«Non lo devi boicottare per forza», era serio, i lineamenti tesi.

GinevraWhere stories live. Discover now