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Non sapevo che ore fossero ma dovevamo aver fatto parecchio tardi. Le prime persone andarono via dopo le 3 ma la maggior parte rimase almeno fino alle 4,30.

Tra gli ultimi, vennero a salutarmi i ballerini. Simone, intenzionalmente davanti a Damien col quale stavo parlando, mi chiese se volessi un passaggio per tornare a casa.

«No», rispose Damien per me. Mathias e Kevin si guardarono trattenendo a stento un sorriso, mentre Simone rimase imperturbabile.

«Ok, allora fatti salutare per bene.» Mi abbracciò, sollevandomi da terra, tanto da dovermi tenere il vestito che poteva salire troppo, e mi baciò a lungo sul collo. «Sei mia!»

Tramortita ancora da quelle effusioni che sapevo finte, salutai Kevin, Mathias e un altro paio di ballerini. Sentivo ancora la presenza di Damien dietro di me, ma tempo che mi voltai, mi era già accanto. Con la punta delle dita mi sollevò i capelli e controllò il collo, il suo viso era molto serio. Mi guardò poi fisso negli occhi: «Sua?».

«Stava scherzando...» ero sbigottita dal suo atteggiamento.

«Ma le mani addosso te le ha messe per davvero», senza cambiare tono o espressione.

Non potei rispondere perché arrivarono altre persone a salutarci.


Alla fine rimanemmo solo noi due insieme a Flavia, Viviana, i fidanzati e una manciata di altri amici. Andai al bagno per vedere in che condizioni fossi, anche se c'ero stata più volte nell'arco della serata per paura che il trucco colasse e diventassi una maschera. Quando uscii, i miei regali erano stati portati già tutti in macchina di Damien.

Quindi salutammo le ultime persone e salimmo in auto.

«Ti odierò davvero per sempre.»

«Pensavo che alla fine fossi stata bene», aveva un sorriso dolce. L'espressione dura di prima era sparita.

«Tu lo saresti stato al posto mio?» lo osservai con un sopracciglio sollevato mentre mi mordevo le labbra. Avevo di nuovo bisogno di mordere qualcosa. «Ti stai sentendo in colpa, vero? Non avevi ben presente che mi avresti messa sotto il fuoco amico...»

Rise.

«Dove vuoi andare?»

«Non ti sei ancora stufato di avermi tra i piedi?»

«Uhm. Un po'.»

«Ok, allora a casa.»

«Mia o tua?»

«Mia. Hai appena detto che sei stanco di me. Ah! Ho capito, devo ripagarti l'intero compleanno», si mise a ridere, «e facendo due rapidi conti e calcolando il mio basso valore, ci devo rimanere almeno un mese!» feci finta di pensare a cifre varie.

«Quanto sei cretina!»

Mordicchiai di nuovo il dito senza nemmeno farci caso finché non me lo fece notare dicendo serio: «Me lo stai già ripagando». Lasciai che mi guardasse farlo qualche altro secondo, poi si voltò a guardare fuori dal finestrino.

«Ci sono!» con tono convinto. Accese l'auto e partimmo senza aggiungere nulla.


Parcheggiò davanti casa sua e notò la mia espressione confusa: «Non preoccuparti».

Gli sorrisi: «Dovresti farlo tu».

Mi fissò con quel suo sguardo conturbante prima di farmi entrare in casa.

Era molto bella, luminosa, moderna. Mi piaceva lo stile, anche se immaginavo lui non avesse scelto gli arredamenti, sicuramente l'aveva trovata così. Mi fece vedere le varie stanze e la trovai molto ordinata, tanto che avrei fatto l'amore in ogni stanza. Ma questo non c'entra perché in realtà l'avrei fatto pure coi topi per terra. Però con gli scarafaggi no, con quelli no.

Mi affacciai nella camera da letto e lo immaginai la sera sdraiato lì. Poi d'improvviso pensai alla reale possibilità che ci fosse stato con qualcun'altra e per un attimo mi prese la voglia di dare fuoco a quel letto. Evitai di soffermarmi più di tanto, visto i sentimenti contrastanti che mi suscitava, e dopo una rapida occhiata mi portò nella cucina a vista.

«Stiamo qui per questo,» con espressione gioiosa e orgogliosa, «la colazione.»

Scoppiai a ridere. Sembrava uno di quei poveri intrattenitori di feste che cercano di invogliare i bambini a fare un gioco, ma non viene considerato da nessuno di quei mocciosetti.

Buttò giù le spalle e mi guardò offeso. «Una colazione italiana, come piace a te!»

«Ok, ok!» cercai di contenermi.

«Tu mettiti comoda, ci penso io.»

Mi fece così tenerezza quel pensiero dolce che lo lasciai fare senza aggiungere altro. Presi posto al bancone all'americana, che adoravo.

Lo vidi muoversi impacciato tra i fornelli. Si girò sentendosi osservato.

«Non riesco a farlo con te che mi guardi.»

«Ah! E com'è essere me? Si sono invertiti i ruoli.»

Sorrise. Girai intorno al bancone e presi le tazze che aveva in mano, ci versai il latte, che lui continuava a spostare di qua e di là, e lo misi nel forno a microonde. Gli chiesi cosa usasse per il caffè e per fortuna mi disse che usava le cialde e non la moka, perché a me veniva uno schifo. Tolte le tazze dal microonde, feci uscire il caffè dalle cialde direttamente dentro.

«Ma non lo fate bollire nel bricco e non usate sempre la moka?»

«Ti sembro una che fa le cose come devono essere fatte tradizionalmente?»

Tirò fuori diversi tipi di biscotti e li mise sul piatto e lì potevano rimanere per me. Però adoravo quello che aveva fatto, lo apprezzavo tantissimo. Quando mi mise tutto davanti, lo ringraziai. Ma non toccai nulla.

«Quindi tieni sempre queste cose in casa nell'eventualità ti capitasse un'occasione speciale?» pensai a qualche stronza che magari si era portato lì.

«Veramente dopo quello che mi hai detto, ho pensato che fosse giusto prendere qualche abitudine italiana.»

«Non mi sembra le abbia fatte tanto tue», lo canzonai sorridendo.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.

«Non mangi niente da ieri a... pranzo, immagino.»

«Ho mangiato la torta.»

Mi lanciò uno sguardo dubbioso.

«È vero, me l'ha portata la mia amica Stella. Millefoglie alle fragole, la mia preferita.»

Rimase in silenzio. Poi: «Ho paura che questo sia un altro punto da aggiungere alla lista».

«Ho paura di sì.»

Abbassò lo sguardo verso la sua tazza di latte. Dovevo fare qualcosa ma la colazione era una cosa così intima. Potevo intingere il biscotto? No, era poco elegante. Forse farlo a pezzi e buttarlo dentro? No, era da bambini. Magari mordere il biscotto e poi bere dalla tazza? E se poi mi si fossero formati i baffi di latte? Nella mia testa si stava svolgendo una riunione in cui i neuroni stavano prendendo delle importanti decisioni in merito, ma non si sbrigavano e io non volevo che lui ci rimanesse male. A quel punto furono come al solito le mani a prendere una decisione per tutti, buttando un biscotto nella tazza. Però! Non potevano continuare a fare danni e poi lasciare che fossero gli altri a rimediare! La bocca era incazzata nera, era lei a rischiare di sporcarsi.

Damien mi guardò.

«Cucchiaino.»

Sorrise e me ne passò uno. Mangiai quel biscotto sentendomi un'eroina. Ma di quelle sfigate, prima della trasformazione.  

GinevraWhere stories live. Discover now