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30 aprile 2001

Mi vedevo quasi bella e la cosa mi creava imbarazzo. Ero ancora più truccata che al servizio fotografico e adoravo come mi avevano sfumato il trucco nero sugli occhi. I capelli pettinati così all'indietro erano proprio come li avrei voluti sistemare io in altre occasioni, ma non ero mai riuscita nel mio intento. Però, anche questa volta, l'idea che gli altri notassero la differenza con la mia normalità mi pesava, erano servite delle mani esperte per arrivare a quel risultato. 

Chissà cosa stava facendo Damien. Di sicuro per sistemare lui ci avevano messo ben poco.

Quando mi era passato a prendere lo avevo trovato serio, pensieroso, distratto. Non mi aveva baciata e, se da una parte mi ero sentita sollevata per tutti i pensieri che ne sarebbero seguiti, dall'altra mi aveva turbata perché pensavo non ne avesse più voglia. Aveva cercato comunque di sorridermi e, mentre guidava, la sua mano teneva salda la mia. Provai a concentrarmi sullo spettacolo, quel giorno doveva essere la mia priorità.


Frastornata dall'agitazione generale, seguii la costumista che mi indicò il vestito nella plastica trasparente sulla quale c'era scritto il mio nome. Lo scrutai con terrore, mentre in sottofondo sentivo Alessia e Giulia fare gridolini entusiasti per i vestiti che erano toccati a loro. Ognuna di noi ne aveva uno diverso, tutti neri. Il mio era un abito a sottoveste di seta con bretelline sottili, lungo fino a metà coscia. Non mi piaceva un granché, era un genere di abito giusto per chi aveva un fisico perfetto, non copriva i difetti e non esaltava le forme, era troppo semplice, non mi avrebbe mai aiutata a sembrare più bella.

Rimasi zitta e lo indossai col magone.

Davanti allo specchio, notai che la scollatura era più ampia di quello che sembrava in stampella e, sebbene acquistò qualche punto, mi sentivo troppo nuda, troppo me stessa.

Quando uscii dai camerini mi stavo tormentando le mani, me ne resi conto incrociando lo sguardo severo di Mathias. Damien sbucò dal nulla e mi si avvicinò.

«Non dire nulla», lo avvisai. Se avesse provato a farmi i complimenti per tirarmi su, avrei fatto in modo di discutere.

Poi mi allontanai e andai a recuperare il mio lettore cd portatile con gli auricolari e alzai a tutto volume girandomi verso la parete in un angolo, cercando di cancellare il mondo dalla mia testa.


«Tutto ok?» Mathias mi toccò la spalla. Non potendo udirlo, lessi il labiale.

«Sono leggermente nervosa, diciamo che mi sta salendo il panico», tolsi gli auricolari.

Annuì. «Allora continua a sfogarti così, ti aiuta.»

Sfogarmi così? Perché, cosa stavo facendo? Ballavo e cantavo come una matta rivolta verso il muro. Un figurone.

Alla fine le prove andarono abbastanza bene, per quanto fossi più agitata delle volte precedenti. Il direttore d'orchestra cercò di mettere tutti a proprio agio ed effettivamente i piccoli gesti che Damien mi rivolgeva mi tranquillizzarono, a dispetto di quello che pensavo.

Damien mi propose di passare la serata insieme, ma avevo mal di testa e mi portò a casa. Il giorno dopo sarebbe stato occupato dalla mattina con delle interviste e lo vidi cercare una soluzione per passare a prendermi e recarci all'hotel dove avremmo dormito. Dovetti insistere per evitare che trovasse chissà quale compromesso assurdo per farlo e permettermi di andare per conto mio.


Mi aggregai alle mie amiche e non lo vidi per tutto il giorno, neanche per cena. Immaginai che dopo le interviste fosse andato a mangiare con qualcuno, gli unici messaggi che mi aveva inviato risalivano alla mattina.

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