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Dalla mia postazione preferita, il davanzale, seguivo le prove di Keira prima con Vania e poi con Viviana. Era piacevole essere lì a fare da spettatrice. Ogni tanto buttavo l'occhio su Damien, cercando di non farmi vedere per non essere pietosa. Era appoggiato a una colonna, vicino a Dari che parlava in continuazione e col suo prode cavaliere sempre accanto. Beccata! I nostri sguardi si incrociarono e io lo distolsi subito iniziando a diventare sempre più rossa in viso. Brava, veramente brava. Facevo prima ad andare lì con una penna a chiedergli se mi poteva fare un autografo sul reggiseno, sarebbe stato meno patetico. Poi tutte le cose che mi ero ripromessa: essere partecipe, parlare con disinvoltura, stare in mezzo alle altre? Che ci stavo a fare lì sopra da sola? Niente, non riuscivo proprio a comportarmi come gli altri. Ero simile, sì, ma con quel qualcosa che mi faceva sentire sempre estranea, diversa, fuori posto, mai parte integrante di un insieme.

Terminate le prove con loro, Marzio alzò gli occhi su di me. E poi guardò Damien. Ci risiamo.

Decisi di avvicinarmi prima di essere chiamata ad alta voce, e a quanto pare, fu quello che fece anche Damien: me lo ritrovai accanto davanti al pianoforte di Marzio. Lui, sempre con uno splendido sorriso. Io, con la faccia di un condannato a morte che però sa che se lo merita.

Un attimo di pausa, Marzio giocherellò con degli spartiti che aveva davanti, ne mise un paio sotto, ne spostò qualcuno sopra e ci guardò. Un ulteriore attimo di esitazione.

«Stavo pensando...», arricciò le labbra, «un paio di canzoni mi sono balenate in mente ora. Non sono tra la lista che abbiamo, però vorrei provarle. Se siete d'accordo.»

Logicamente l'ultima frase non era rivolta per davvero anche a me. Damien rispose in maniera affermativa senza pensarci su e Marzio ci allungò un foglio a testa, mettendone altri due da parte.

«Questo è il testo della prima, immagino l'abbiate già ascoltata.»

Tolsi gli occhi dal foglio e feci lentamente di sì con la testa, non riuscivo a capire perché tra tutte le canzoni di cui avevamo parlato in precedenza questa non era uscita fuori e adesso la proponesse all'improvviso.

«Bene, allora iniziamo. Non vi darò indicazioni, sul testo c'è scritto chi canta cosa e poi... libera interpretazione. Tranquilli, è la prima volta che la fate, vediamo che ne esce. Damien, tu cerca di andarle dietro.»

Iniziammo subito, a farci da coro solo alcune delle ragazze, quelle che avevano dichiarato di conoscere bene la canzone. Io l'avevo ascoltata tante volte, ma il testo che avevo sul foglio mi dava sicurezza e mi permetteva di concentrarmi solo su quello. Nessuna distrazione.


«Wow», Steve come gli altri era entusiasta e stupito per l'esecuzione, nulla a che vedere col giorno prima. Certo, non ero tornata ai miei livelli, ma seguivo la musica con un leggerissimo movimento e la voce era più sicura.

Marzio mi guardò con un sorrisetto ma non aggiunse altro, ci fece segno di andare a prendere gli altri due fogli che ci tendeva.

«Ora questa.»

Era strano che ci facesse provare la canzone solo una volta. Avrei potuto capirlo se avessimo fatto veramente schifo... anzi no, neanche in quel caso avrebbe lasciato perdere così in fretta.

Ora col testo in mano di "One Sweet Day" ritornammo verso i microfoni. Io con gli occhi sul foglio, anche se conoscevo a memoria le parole, pur di non fare tre metri accanto a Damien senza sapere dove guardare. Per fortuna stavamo cantando uno a fianco all'altro e non di fronte. Io poi tendevo proprio a spostare il viso verso destra, visto che lui era alla mia sinistra e tenevo a bada il mio occhio pigro per non guardarlo. Quell'occhio era uno dei miei difetti principali, aveva il cattivo gusto di abbandonarsi e lasciarsi andare da una parte, non sempre ma solitamente se mi rilassavo o ero sovrappensiero o, di sicuro, ogni volta che venivo fotografata. Me ne vergognavo da quando ero piccola e per questo non tenevo mai lo sguardo fisso a lungo sul viso degli altri, per paura che il mio occhio da dritto, potesse diventare strabico. Cioè, quando ero stata creata mi avevano fatto proprio una cattiveria, come se mi stessero già punendo per qualcosa che avrei combinato poi.

Anche questa andò alla grande, fischi e applausi. Marzio aveva un sorriso che gli scoperchiava la testa.

«Sapevo di avere ragione, non potevo essermi sbagliato». Lo guardai con aria interrogativa mentre mi avvicinavo e lui proseguì: «Voi funzionate. Dannazione se funzionate insieme! E ora l'hai capito pure tu.»

«No.»

Fece un gesto con la mano per far sciogliere nell'aria la mia negatività.

«Lo hai sentito anche tu, come tutti gli altri qui dentro.»

«No.»

«Sì, e piantala. Il tuo unico problema è che pensi troppo. Stai là ad arrovellarti su chi hai davanti, chi a fianco, chi ti guarda mentre ti muovi... questa è stata la riprova: due canzoni mai provate, ti dovevi per forza concentrare sulla canzone senza pensare al resto. Et voilà. Perfetto.»

«E pensi che possiamo andare avanti così? Arriviamo lì e cantiamo una canzone nuova sul momento col testo in mano?» Ma lui si era già alzato dal piano, aveva fatto il giro passandomi accanto ed era andato oltre. Senza rispondermi.


Quasi mi sbrodolai addosso quando lo sentii entrare.

Ero in cucina a bere dell'acqua e me lo ritrovai vicino. Il profumo che portava mi prendeva allo stomaco, mi dava un fortissimo senso di attrazione e di necessità.

Mi asciugai svelta come se potessi essere così veloce da rendere il movimento invisibile, ma di certo non potevo rimanere lì col contorno della bocca bagnato di acqua, sarebbe sembrata bava e vista la situazione non era poi così improbabile.

«È andata molto bene oggi, sei stata bravissima!»

«Beh, peggio di ieri non poteva andare», cercai di sdrammatizzare. «Ma forse è meglio non dirlo, non si sa mai.»

Lui sorrise.

Nella frazione di secondo di silenzio mi chiesi cosa potessi dire. «Acqua?» e poi per paura di essere fraintesa, «Non questa,» agitai la bottiglietta che avevo in mano, «ce n'è altra», indicando il frigorifero vicino al quale mi ero appoggiata.

Lui rise, probabilmente non della situazione ma proprio di me. Gli sarò sembrata un'idiota. Imbarazzata. E imbarazzante. Declinò l'offerta, doveva andare e ci salutammo.

Lo vidi uscire dalla cucina e mi girai non perché dovessi farlo, ma giusto per non fare quella che segue il suo amato con lo sguardo fino alla fine della strada con gli occhi sognanti e speranzosi di rivederlo presto.

«Quindi, tutte le sere prima di andare via, tu ti nasconderai da qualche parte?» Era tornato.

«Suppongo di sì», mi uscì di getto mentre mi voltavo verso di lui.

«Ok, allora io ti verrò a cercare», mi fece l'occhiolino e uscì di nuovo.

Non so per quanto tempo rimasi lì impalata.


Mariah Carey e Boyz II Men, "One Sweet Day", Daydream. Columbia, 1995.

GinevraWhere stories live. Discover now