18.

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Dopo venti minuti avevo finito la traduzione. C'erano un paio di parole che avevo tradotto pur sapendo di non aver individuato i termini giusti, perciò mi misi a cercare un dizionario, sdraiandomi sopra la scrivania per tutta la lunghezza delle gambe mentre il busto ciondolava giù, alla ricerca nei cassetti.

«Ah, ma allora volevi continuare a fare ginnastica, ecco perché mi hai cacciato!»

Dannazione. Proprio io che cercavo in tutti i modi di essere austera davanti a lui mi facevo trovare in quel modo, poteva sembrare anche una posa sexy se non ci fosse stato lui a guardare e io a farla. Ma non potevo tirarmi su in fretta, altrimenti avrei evidenziato il mio imbarazzo, presi perciò controllo di me stessa e grazie a una botta di fortuna, mi tirai su dopo un paio di secondi con un piccolo vocabolario in mano, facendo leva sugli addominali e sembrando anche abbastanza ginnica.

«Stavo cercando questo», girai tra due dita il piccolo oggetto senza voltarmi, sperando che l'afflusso di sangue in faccia defluisse nel frattempo nel resto del corpo.

Era rimasto sulla porta per tutto il tempo, forse avvicinarsi mentre ero in quella posizione gli era sembrato poco opportuno. Lui sempre un signore, io sempre un'idiota.

Mi rimisi seduta, stavolta composta, e lui si avvicinò mettendo sul tavolo vicino a me un bicchiere di cartone chiuso, tipo quelli dei fast food. Lo notai ma non dissi niente, sperai non fosse per me.

«Vuoi? Per te.»

«No, grazie.»

Sbarrò di nuovo gli occhi.

«Non sai neanche quello che c'è dentro.»

«Ehm, no grazie.»

Sorrise confuso.

«Cioccolata calda con panna.»

Sorriso da ebete con l'aggiunta del terzo: «No, grazie».

«L'ho preso a un bar qua vicino. Non sembrava così male.»

«Magari lo porto a qualche ragazza di là, sicuramente trovo chi...»

«Non credo ce ne sia bisogno. Per le ragazze ho portato altro. Ma ho chiesto e mi è stato detto che tu ami la cioccolata e ho pensato di portartela.»

Chi è stato? Chi gli ha detto che sono un essere ingordo mangiatore di cioccolata? Chi vuole soffrire così tanto da sfidare le mie ire? Flavia, sicuro.

«Ti ringrazio è che...» e non finii la frase perché, che cosa gli dovevo spiegare? Che non volevo mangiare o bere davanti a lui perché avrebbe pensato che fossi grassa? Avrebbe visto le calorie entrare dentro di me comprendendo il motivo per cui ero così dannatamente informe?

Quindi rimasi con la mia espressione da peluche, quelli che hanno gli occhi attaccati male e sembrano perennemente imbarazzati e attoniti allo stesso tempo.

«Eh... ok, un secondo solo che controllo un paio di parole e ho finito.»

Stavolta fu lui a rimanere in silenzio. Corressi solo una parola, l'altra non era poi così sbagliata.

«Fatto!» Poggiai la penna sul tavolo e misi le mani tra le gambe tamburellando con le dita. «Vuoi leggerlo da solo? Potrei aver sbagliato qualcosa, se non capisci dimmelo, ho una scrittura terribile», mi sforzai di zittirmi. Dargli in mano la traduzione mi innervosì, potevo aver fatto errori gravi di grammatica. Cominciai ad arrossire.

Si mise seduto sulla sedia vicino a me e gli passai il foglio. Dunque mi alzai.

«Non andartene.»

GinevraWhere stories live. Discover now