XXXVII

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Changbin si passò una mano tra i capelli irritato, una decina di chiamate senza risposta e un'altra chiamata in corso. Dove diavolo si era cacciato Jisung. Chan lo stava tempestando di messaggi ma il più piccolo era sparito, l'idea che fosse successo qualcosa era sempre più nitida.

La porta dell'ingresso si spalancò rivelando la figura di Jisung spettinata, Chan lo fissava stringendo il telefono per non avvicinarsi e prenderlo a schiaffi.

Changbin sentì il sangue congedarsi nelle vene e ripartire più velocemente. Si alzò di scatto dalla sedia. Camminò velocemente verso Jisung, le vene del collo e sulle tempie ingrossate per la rabbia "Dove cazzo hai la testa" il tono di voce duro e infastidito. "Ti scriviamo e chiamiamo da circa mezz'ora e tu sembri scomparso, dove cazzo tieni quel telefono!?" il tono di voce si alzò bruscamente obbligando Han a fare un passo indietro.

Lui e Min-ho erano rimasti distesi nudi suo divano a coccolarsi per ore e se il demone non gli avesse chiesto del lavoro probabilmente avrebbe scordato di avere le prove. Jisung si sentiva in colpa per aver fatto attendere i due e ancor di più per averli spaventati, non sapeva come giustificarsi.

Changbin fece un passo verso di lui alzò una mano al celo pronto a scaraventarla sulla sua faccia ma si fermò quando Han chiuse gli occhi per la paura. Quel contatto non avvenne ma si fermò ancora prima di iniziare. Chan lo guardò tremare per qualche secondo per poi sorpassare Jisung per andarsene dall'appartamento sbattendo la porta.

Han riaprì lentamente gli occhi, era da molto tempo che Changbin non mostrava segni di aggressività, Chan lo fissava come aveva fatto per tutto il tempo e scosse la testa alzandosi dal divano.

Han ispirò ed espirò stringendo i manici dello zaino mentre Chan si avvicinava "Suo padre è tornato a casa" sospirò guardando la porta il maggiore. "Perché eri in ritardo?" Domandò portando lo sguardo finalmente a lui.

Han deglutì "Ero con Min-ho e ho perso la cognizione del tempo... mi dispiace" sussurrò abbassando lo sguardo, non valeva più la pena mentire a riguardo. "Ok sono felice che tu stia bene... Iniziamo ad allenarci, quando avrà sbollito tornerà indietro" gli fece un cenno con la testa e Han annuì passandosi una mano tra i capelli.




Changbin camminava lungo la stradina, i pugni serrati mentre sentiva la rabbia accumularsi sulla punta delle dita. Non sapeva come placare l'impulso e il solo pensiero che poco prima avrebbe ferito Jisung lo faceva sentire male.

Odiava anche dover ammettere che la distanza di suo padre lo faceva sentire meglio. Chiamarlo padre era un gran dire, non lo aveva mai fatto da quando era nato.

Changbin ricordava benissimo la prima volta che le minacce erano diventate veri e propri maltrattamenti. Aveva solo sei anni. Aveva iniziato con gli schiaffi che poi si riversavano nella madre con spinte e insulti.

Già sua madre. Lividi e costole inclinate erano ormai diventate parte di lei eppure manteneva quel sorriso consolante rassicurando il piccolo Changbin che andava tutto bene.

La testa iniziava a fargli male mentre oltrepassava il cancello del parco. Aveva visto il padre solo per pochi minuti, seduto sul tavolo della cucina mentre mamma gli versava il tè, un sorriso gentile mentre dalle sue labbra usciva un ringraziamento. Che scena patetica.

Non l'aveva mai visto sobrio ne tantomeno gentile, la vita in casa era tesa e pesante fino all'età di dieci anni, ma appena scoccarono gli undici non vi era giorno in cui l'odore acre e pungente delle bottiglie, solleticavano il suo povero e piccolo naso.

Era normale vederlo barcollare per la casa mentre dava della puttana a sua moglie e dell'inutile disgrazia a suo figlio. Era diventato un professionista nel schivare bicchieri o qualsiasi altro oggetto tagliente e pericoloso, ma sentirne il suono mentre si infrangevano nel muro o nel pavimento lo rendevano vulnerabile e lo terrorizzavano a tal punto da pregare un qualsiasi dio per scomparire.

DARK SIDE // MinsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora