ᴺᴵᴺᴱᵀᴱᴱᴺ ❙ ᴸᵞᴵᴺᴳ †

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Dedicato a chi
realizza che
noi stessi
è il tesoro
più prezioso
che abbiamo

†     †     †

Ero abbandonata a me stessa;
lasciavo che il brivido
della solitudine
mi percorresse la schiena,
sapevo che la solitudine
abbracciava fino alla morte,
ma mi sarei lasciata stringere
fino a permetterle di soffocarmi.

-𝒜. 𝑀.

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𝐴𝑙𝑎𝑠𝑘𝑎'𝑠 𝑝𝑜𝑖𝑛𝑡 𝑜𝑓 𝑣𝑖𝑒𝑤

Le coperte erano calde e profumavano di detersivo, svegliarsi con quell'odore fra le narici era decisamente il modo migliore con cui cominciare la giornata. Mi rotolai verso sinistra, in direzione della porta quando sentii il mio cellulare squillare; sbarrai gli occhi quando i polpastrelli delle mie dita lambirono una superficie pelosa e mi issai sulle braccia per rendermi conto che io ed Harry avevamo dormito a testa e piedi. Nello stesso letto.

Attaccai chiunque fosse a telefono e sgusciai fuori dalle coperte per rimanere in piedi contro il letto a fissare Harry dormire. Mi portai un pugno semichiuso sulla bocca per regolare il mio respiro. Harry era la persona più cara che potesse esserci, ma il solo pensiero faceva a botte con la mia testa e finiva sempre per vincere. Feci due passi indietro, con gli occhi pieni di lacrime e con il fiato che ormai non riuscivo più a controllare. L'idea di me e lui insieme, e dei ragazzi, "dei rapporti" tra le lenzuola mi annebbiò la vista e scossi la testa percependo già il vomito cominciare a salire quando la lingua cominciò a salivare in maniera eccessiva. 

Corsi verso il bagno, ogni passo più pesante dell'altro odiando l'idea di dover dare ad Harry un risveglio del genere e spalancai la porta per poi richiuderla nella speranza di attutire qualunque suono e mi accasciai verso la tazza del gabinetto cominciando a vomitare e a piangere al tempo stesso. Era un gesto così monotono e usuale, così normale ai miei occhi e così ricorrente da reputarlo quasi familiare.

Tossii numerose volte appigliandomi alla tavoletta; più piangevo e più l'idea persisteva nella testa; più vomitavo e più non riuscivo a smettere, più mi faceva male e più piangevo perché avrei voluto essere in grado di spiegare il dolore.

La porta del bagno venne sbattuta con forza ed Harry si piegò spaventato alle mie spalle per tenermi i capelli alzati continuando a carezzarmi la testa: «Alaska sta' tranquilla, non preoccuparti è passato» continuava a ripetermi mentre io facevo segno di no con la mano. Non capiva, non poteva.

Sturai e mi avvicinai in lacrime al lavandino per lavarmi continuando a singhiozzare: «che è successo?! Alaska!» urlò lui quando si rese conto che non lo avrei risposto. «Niente— riposi lo spazzolino nel bicchiere tirando sù col naso— niente, sul serio» ripetei ferma cercando di convincerlo, ma chi volevo prendere in giro? Non riuscivo nemmeno a fingere che andasse tutto bene.

𝐃𝐀𝐑𝐊 𝐎𝐁𝐒𝐂𝐔𝐑𝐄 | [h.s]Where stories live. Discover now