Capitolo due.

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Non fare lo stronzo

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Non fare lo stronzo.
Non fare lo stronzo o lo farai incazzare.
E se si incazza, peggiori solo le cose.

Non facevo altro che ripetermi quelle parole come un mantra, sperando potessero sul serio calmarmi e insegnarmi a pormi nella maniera corretta. 

Dopotutto, con Mitch riuscivo a essere comprensivo. A volte anche troppo. Quindi perché mai con Nike non avrei dovuto?

Appoggiato alla fiancata della mia Maserati, mentre il tipico calore californiano di pieno ottobre mi faceva sudare nella camicia griffata, rimuginavo sulle parole che mi erano state dette dagli insegnanti di mio fratello. Beh, uno dei miei tanti fratelli.

«Nike sta sviluppando un atteggiamento troppo aggressivo nei confronti dei suoi compagni e dei docenti. Si rifiuta di partecipare alle lezioni, trascorre ogni ora con gli auricolari alle orecchie e chino sul suo cellulare, e finora non ha istaurato alcun tipo di rapporto sociale, fatta eccezione per la signorina Ortega. Crediamo che ciò sia dovuto all'assenza di una figura materna nella sua vita e al disagio per la sua condizione...»

Probabilmente Mr. Parker, il preside che ogni semestre si intascava la profumata retta scolastica che pagavo, doveva essersi accorto della brutta faccia che avevo fatto alle sue insinuazioni. Si era interrotto di scatto, crogiolandosi in profonde scuse, prima di snocciolare in breve cosa fosse successo.

Condizione? Di che cazzo di condizione stava parlando?

C'era mancato davvero poco che gli dimostrassi da chi Nike avesse preso il suo atteggiamento aggressivo. Che soffrisse di un mutismo traumatico non c'entrava un cazzo.

Non ce l'avevo con mio fratello perché faceva fatica ad approcciarsi agli altri ragazzi. Ero incazzato perché era la terza volta in un mese che mi chiamavano. La terza volta in trenta fottuti giorni che non aveva saputo tenere le mani in tasca.

Indurii la mascella quando lo vidi apparire oltre le porte della Palo Alto Accademy. Aveva la solita espressione imbronciata, lo zaino rosso che pendeva da una spalla e le cuffie nelle orecchie. Nulla di nuovo, a parte per le nocche escoriate e la spaccatura sul labbro inferiore.

Più si avvicinava, più il mio respiro si faceva irregolare. Volevo togliergli via dalla faccia quella smorfia menefreghista a furia di schiaffi.

Quindi, per il suo bene, mi limitai a fargli un cenno con il capo e salii in auto, aggrappandomi al volante. Nike mi raggiunse dopo pochi istanti.

Con tutta la tranquillità del mondo, come se non avesse spaccato la faccia a un suo coetaneo per l'ennesima volta, ottenendo la sospensione, si tolse le cuffie e prese ad armeggiare con il display dell'impianto stereo.

Le familiari note di Bury Me Face Down di Grandson si diffusero nell'abitacolo. Sapevo che quello era il suo modo di comunicare, ma quel giorno avevo la testa piena di altra merda, perciò mi feci scivolare addosso la musica e continuai a guidare.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now