Capitolo otto.

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«Quel bastardo ha rifiutato

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«Quel bastardo ha rifiutato. A quanto pare, ancora non ne sei all'altezza».

Destro, sinistro, uppercut, schivata. «E tu dimostragli che non è così. La Pound for Pound parla chiaro. Weston sta solo cercando di fare il prezioso».

Prima che un colpo diretto mi combinasse un occhio viola, sollevai la guardia e lo respinsi, per poi procedere con una sequenza base: sinistro, sinistro, gomitata destra.

«Tu credi? A mio parere ha soltanto paura. Sa di cosa sei capace e non vuole perdere il titolo con un debuttante».

«Già, peccato che io non sia un debuttante, cazzo», respirai di scatto, caricando uno Spinning Back Fist più debole del previsto, che venne parato dal mio allenatore. Fanculo.

«Controlla il respiro, Athos!», mi redarguì mio padre, fuori dalla gabbia. «E tu smettila di distrarlo, Malik. Weston alla fine accetterà, lo sappiamo tutti. Non fatevi prendere dall'agitazione».

«Sì, lo farà», controbatté Malik, intanto che io proseguivo con una serie di proiezioni. «Non è questo il problema. Ciò che mi preoccupa è il quando, papà».

Brividi di timore mi scivolarono lungo la schiena, scaricandomi addosso un'ondata gelata di brutti presentimenti. Perché Malik aveva ragione: noi non avevamo tempo. Io non avevo tempo. Il prossimo incontro doveva per forza essere contro quel figlio di puttana di Weston, impossibile anche solo pensare all'alternativa.

Il mio attimo di distrazione mi costò caro: Tim, l'allenatore, si liberò dalla mia proiezione e mi riservò una spezzata. Vacillai all'indietro, perdendo la stabilità sui miei piedi, e lui ne approfittò per sottomettermi al tappeto.

Tuttavia riuscii a impedirgli di portare a termine la maledetta D'arce Choke, ponendo un braccio tra di noi e agganciandogli le gambe attorno alla spalla. Dopodiché, servendomi di una rotazione, conclusi con una perfetta Armbar.

Le mie mani si serrarono attorno al suo avambraccio, lo spinsero nella mia direzione, mentre le gambe gli trattenevano la spalla. E tiravo, tiravo, tiravo... finché Tim non batté. Forfait.

«Dannazione, Athos», borbottò, massaggiandosi il punto dolorante, una volta lasciato liberato. «Volevi procurarmi una dislocazione?».

Ghignando, mi sollevai dal pavimento e corsi a recuperare un goccio d'acqua. «Sei stato tu a portarci a terra, amico. Dovresti sapere che sono più in gamba di te. Quello è il mio territorio».

Non era un caso che mi chiamassero The Venomous. La mia presa era mortale, infetta, non lasciava scampo. Mi avvolgevo attorno ai miei avversari come un pitone e li mordevo come un cobra. A terra ero letale e questo lo sapevano tutti.

Motivo per cui ogni singolo fighter dell'UFC cercava sempre di tenere il combattimento in alto, di rendermi inoffensivo con dei banali clinch. Ma non serviva mai a nulla. Io vincevo comunque. Sempre.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now