Capitolo diciassette.

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Non ero mai stato un borioso cafone, uno di quelli che esigono di avere i riflettori puntati addosso per ogni minima stronzata della loro vita

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Non ero mai stato un borioso cafone, uno di quelli che esigono di avere i riflettori puntati addosso per ogni minima stronzata della loro vita. A me piaceva starmene per i fatti miei, chiuso nella mia riservatezza a guardare la folla dall'alto.

Gli show da quattro soldi non facevano per me. Quei teatrini di vittimismo e apparizione, innescati dal falso mito dell'estetica pregno di insicurezze e un bisogno di accettazione cieco, si schiantavano a tutta forza contro il muro quale ero.

La distorsione della realtà, le persone che credevano di poter mettere il becco nella tua vita soltanto perché un commenta gliene dava la possibilità, i drammi inesistenti e superflui... no. Mi veniva da vomitare.

Per questo il mondo mediatico mi era sempre stato sulle palle. E odiavo ancora di più la mia faccia spiattellata su ogni dannato tabloid, accompagnata dal comunicato stampa che ero stato costretto a rilasciare.

«Kevin Weston continua a rifiutare un incontro con me. Che la fichetta abbia paura del grande The Venomous? Beh, comprensibile. Lo farei a pezzi come un cazzo di tritacarne. Non temere, Weston, tanto con la tua corona mi ci pulisco soltanto il culo. Un bacio, bellezza».

E come c'era da aspettarsi, il bastardo aveva contrattaccato. Accettando. Incentivato dai suoi tifosi, tramite il suo profilo Instagram, si era sentito in dovere di definirmi uno stronzo attaccabrighe dalle manie di grandezza, e proprio per questo sarebbe stato più che felice di mettermi a tacere.

Certo, come no.
L'avrei sul serio fatto a pezzi.

«La UFC sta ultimando la burocratica per quanto riguarda la formalizzazione dell'incontro, ma dobbiamo passare alla sede centrale per ultimare le rifiniture prima di rilasciare qualsiasi cosa», proruppe Malik, facendo scorrere l'indice sul suo IPad.

Appoggiai il fondoschiena al bordo della scrivania in legno. «Il Presidente ci ha convocati?».

«Affermativo, Venom. Bisogna stilare il calendario. Sai come funziona».

«Già», borbottai e incrociai le braccia al petto. Il mio umore di già pessimo finì soltanto per collassare. «Fanculo. La conferenza stampa sarà un massacro, e non girerò alcuno spot pubblicitario».

Per l'ultimo main events mi avevano costretto a uscire da una fottuta torta gigante. Dico, ma davvero?

Malik fischiettò, malizioso, e ripose l'IPad sul tavolino da salotto, posto dinnanzi al piccolo divano in pelle. Ci ritrovavamo sempre nel mio studio quando dovevamo discutere di questioni di simile importanza, soprattutto quando ai piani di sotto era in corso una mega festa a tutti gli effetti.

Avrei ucciso Ilia e Vergo a sangue freddo, prima o poi.

«Continua pure a ripetertelo, fratellino. Stavolta non hai scelta», ridacchiò, aggiustandosi la cravatta. «So già che mi divertirò da morire».

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now