Capitolo ventinove.

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Aveva una reggia al posto di un bagno, Athos McDravhion

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Aveva una reggia al posto di un bagno, Athos McDravhion. Grande quanto il mio appartamento alla Brenner, dotato di doppio lavandino, piastrelle lucide e bianche e luci a led, avevo faticato a trovare sul serio ciò di cui avevo bisogno per asciugare Mitch.

Ma la cosa più strabiliante non erano tanto gli interni pregiati e industriali, e nemmeno la vasca da bagno circolare, con la capienza di almeno tre persone, ma il lucernario.

C'era un fottuto lucernario sul soffitto spiovente, dove i fiocchi di neve continuavano a raccogliersi e poi sbuffare via insieme al vento.

Incredibile. E si trattava del bagno di uno chalet di vacanza. Chissà com'era la sua stanza a Palo Alto.

Immaginavo fossero i lussi di una celebrità di portata mondiale.

Comunque, alla fine ero riuscita nell'impresa di trovare un normale asciugacapelli e una spazzola in quel tempio sacro e Mitch ne era uscita sana e salva.

«Mi fai le tecce che partono da qua?», mi aveva chiesto poi, indicandosi la testa e facendomi ridere.

«E trecce sia», avevo risposto, prima di intrufolare le dita nei suoi ciuffi biondi e soffici.

Mi piaceva passare il tempo con lei. Era una bambina dolce, o almeno con me, perché avevo avuto modo di vedere quanti capricci facesse invece con Athos. Mi pianse il cuore più di una volta al pensiero di Meghan, sua madre, che aveva preferito una siringa a lei.

E se Athos non fosse stato una ragione sufficiente a mollare la mia famiglia prima del previsto per correre qui, a duemila chilometri di distanza, allora l'idea delle guance scarlatte di Mitch mi avrebbe convinta all'istante.

Mia madre non aveva propriamente preso bene la mia decisione, ci eravamo dovute accordare per le vacanze di Natale per raggiungere un compresso. Beh, bene quel che finisce bene.

Spero che finisca per davvero bene.

Mano nella mano con Mitch, vestita di tutto punto in un pigiamino di pile a fantasie di unicorni e ciambelle, scesi al piano inferiore. Le scale di legno scricchiolarono sotto i nostri passi, finché non raggiungemmo la moquette bianca che ci accompagnò fino al salotto rustico dove c'erano tutti.

Temo non mi sarei mai abituata a una famiglia di simili dimensioni. Troppi componenti. Ogni tanto me ne scordavo qualcuno per strada.

Nel camino scoppiettavano le tacche di legno, mentre un televisore al plasma appeso sulla parete bordeaux trasmetteva chissà quale videogioco che stava impegnando Vergo e Ilia.

Omega e Nike si limitavano a fare da spettatori, al contrario di Hamish e Dermot che facevano di tutto per infastidirli e distrarli, ricevendo insulti e offese.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now