Capitolo trentuno.

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Guardare Nike sparire dopo i controlli per il gate mi aveva fatto male

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Guardare Nike sparire dopo i controlli per il gate mi aveva fatto male. Tornare a casa senza di lui mi aveva ucciso. E se non fossi stato io, Athos, una fortezza inespugnabile destinata a difendere e difendere, avrei pianto tutte le mie lacrime.

Perché non ero riuscito a stargli vicino nel modo giusto, non l'avevo compreso nei suoi momenti sbagliati e avevo preteso da lui più di quanto potesse darmi.

Ero soltanto suo fratello, lo sapevo bene, eppure mi sentivo come se mi avessero strappato via un arto essenziale. Il mio Nike, che lo avevo tenuto tra le braccia mentre mia madre moriva dissanguata sul letto e mio padre non riusciva neppure a guardarlo in preda al dolore.

Lo avevo riempito di raccomandazioni come una mamma chioccia, imponendogli di ascoltare Cruz e chiamarmi almeno una volta al giorno. E se non poteva chiamarmi, allora andava bene anche un messaggio.

«E torna», gli avevo detto.

Lui aveva sorriso, mi aveva abbracciato e io avevo capito di aver fatto la scelta giusta.

Omega aveva pianto tanto, invece. Anche con i suoi modi scontrosi e irascibili, Nike lo aveva sempre protetto a costo di perderci la faccia.

«Non ti vedrò crescere... ah, no, aspetta».

Poi si erano messi a ridere insieme.

Omega era Omega. Capiva e accettava anche quando non c'era nulla da capire e accettare.

A prenderla male era stato proprio mio padre. Non tanto per Nike che partiva alla scoperta di sé, quanto più per non avergli chiesto nulla.

E sì, aveva ragione, cazzo, perché era suo figlio, ma che diamine, non poteva ricordarsene solo quando gli andava. Non si trattava di un vestito che tiri fuori dall'armadio solo nei giorni più belli.

È un uomo di sessant'anni, Athos, ed è tuo padre. Porta rispetto. Ascolta la sfuriata e porta a casa, mi ero dovuto ripetere mentre mi riprendeva neanche fossi un fottuto bambino di cinque anni.

C'era già Raving a dirgliene di ogni, privo dei suoi filtri e di educazione. Non c'era bisogno che mi aggiungessi alla mischia, tanto qualunque tesi a mia favore non avrebbe sovvertito le sorti della discussione.

Avrei dovuto farmi i cazzi miei, punto. Chiaro. Okay, ora andiamo avanti.

«Ti aspetto nello studio per guardare i video dì Weston», aveva concluso prima di andarsene e lasciarmi in salotto, difatti.

Avevo avuto bisogno di prendere più di un respiro profondo per calmarmi e rilassare le spalle tese. Malik si era speso in sorrisi comprensivi e strette di supporto, sebbene non me ne facessi niente di tutto questo.

Ero a tanto così dal raggiungere una linea d'arrivo che avevo sempre immaginato fosse troppo lontana anche solo da scorgere. Ebbene, io la vedevo eccome. Era proprio a un passo da me, ci traballavo sopra, mi faceva perdere l'equilibrio e ogni tanto dovevo aggrapparmi a qualcosa con tutte le mie forze per non cadere.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now