Capitolo trentotto.

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La T-Mobile Arena non era mai stata tanto affollata

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La T-Mobile Arena non era mai stata tanto affollata. La gente, arrivata da ogni parte del mondo, ne riempieva perfino gli angoli più remoti. Non importava che i prezzi dei biglietti fossero schizzati alle stelle, le persone si erano addirittura indebitate per assistere all'incontro.

Il pay-per-view più venduto di sempre, cazzo. Gli enti sportivi erano in visibilio, i giornalisti si accalcavano fuori e dentro all'arena, in attesa di chissà quale battuta da copione.

La mia faccia e quella di Kevin Weston erano state spiattellate su tutte le insegne pubblicitarie. I megaschermi di Las Vegas riflettevano il mio viso crucciato, con la mia tipica espressione da prendere a schiaffi.

E nel clangore frastornante del pubblico eccitato, il countdown che rintoccava sul cubo sopra alla gabbia e i mormorii del mio team agitato, io me ne stavo chiuso nel mio camerino alla ricerca di un silenzio inesistente.

Con le mani guantate aggrappate alle ginocchia nude e la schiena ricurva, cercavo di prendere dei respiri profondi, mentre Malik si impegnava in una marcia furiosa davanti a me. C'eravamo solo noi due nella stanza, dopo che avevo preteso che tutti gli altri si allontanassero.

Eravamo in attesa.

«Tra quindici minuti verranno a chiamarci, dannazione», continuava a cantilenare mio fratello sull'orlo di una crisi nervosa. «Non abbiamo più tempo. Lo capiscono questo?».

Divaricai le gambe e calai le palpebre. «Malik...»

«Avrebbero dovuto essere qui mezz'ora fa!».

«Malik».

«Trenta minuti. Sono ben trenta minuti che li stiamo aspettando, neanche avessimo chiesto noi tutto questo!».

«Malik!», sbottai, spalancando le palpebre.

Lui si fermò di getto nel bel mezzo del camerino, guardandomi da sopra la spalla come se si fosse appena reso conto della mia presenza. Due borse gli contornavano gli occhi, intanto che si torturava i bordi delle maniche della giacca grigia.

Sbatté le ciglia un paio di volte, perplesso. «Che c'è?».

Allargando le spalle, lo fissai e schiusi le labbra, pronto a intimargli di smetterla, che avevo bisogno di silenzio e non un aggravante, ma la porta si spalancò in quel preciso istante, facendoci sobbalzare.

Tre uomini vestiti completamente di nero fecero irruzione privi di esitazioni, camminando come se tutto fosse loro dovuto.

I loro completi eleganti stonavano alla grande con il marciume che si portavano addosso, con le facce arcigne di chi si è sporcato fin troppo nella propria vita.

Io e Malik ci zittimmo, restammo del tutto immobili mentre l'uomo al centro, senza alcuna fretta, si sganciava tre bottoni della giacca e prendeva posto sulla poltrona dinnanzi a me. Gli altri due si posizionarono alle sue spalle, come due guardiani fedeli. Cani.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now