Capitolo undici.

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La mia testa stava per scoppiare, cazzo

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La mia testa stava per scoppiare, cazzo.
Ogni volta che risolvevo un dannato problema, ecco che ne spuntava fuori un altro come un fottuto fungo.

Perché non bastava la merda che mi aveva lanciato addosso Meghan, non bastava quel figlio di puttana di Weston che continuava a farsi desiderare e pisciare troppo fuori dal vaso, e non bastavano neppure le stronzate da adolescente fuori fase di Raving.

No, ci si metteva pure Nike. E poi Vergo. E poi Mitch. E poi mio padre. E poi Malik. E poi Rora. E poi un grandissimo vaffanculo a tutti.

«Mi spieghi che cazzo ti passa per il cervello, Nike?», ringhiai, agguantandolo dal colletto della maglietta.

Lui, di contro, si crucciò infastidito e sollevò il mento in una chiara chiusura. Sì, un paio di palle. Le mani formicolavano dalla voglia di spaccargli la testa contro quella di Vergo e Raving.

«Rilassati, Athos, è soltanto un tatuaggio!», sbuffò proprio Raving, accendendosi una sigaretta.

Con il nervoso a riempirmi le arterie, gliela strappai dalle labbra. «In casa non si fuma. Te ne vai fuori, stronzo. E ha quindici anni, maledizione! Perché diavolo gli avete firmato quel permesso?».

«Perché voleva un tatuaggio, e chi siamo noi per impedirglielo? Per una volta che cerca di comunicare, lascialo perdere», si intromise Vergo, passandosi una mano fra i capelli scuri. «E poi è carino. Un po' tetro, ma carino». Schiacciò un occhiolino complice a Nike, che ridacchiò sottovoce.

Per il mio bene, ma soprattutto di coloro che mi stavano attorno, lasciai la presa su mio fratello e indietreggiai, alla ricerca della calma perduta.

Da dispettoso quale era, Nike piegò addirittura il collo per mostrarmelo meglio e farmi capire che non gliene importava nulla delle mie lamentele.

Perciò fissai gli occhi su quel teschio messicano che gli ricoprivi la pelle chiara sotto l'orecchio. Non avevo parole. Sul serio, non sapevo più cosa dire.

«Hai intenzione di fartene altri?», mi ritrovai a domandare alla fine.

Nike, a causa della presenza di Vergo e Raving, non parlò e si limitò ad annuire. Deciso, senza nemmeno pensarci due volte.

Anche io avevo parecchi tatuaggi, anche a me era piaciuto sporcarmi la pelle con l'inchiostro, ma aveva quindici anni, cazzo, e non volevo che finisse con il pentirsene come avevo fatto io.

«Wow, che sorpresa», cantilenò Vergo, spalleggiato da Raving che scoppiò a ridere.

Li ignorai. Avrei fatto i conti con loro due dopo.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now