Capitolo trentanove.

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Non avevo mai percepito un silenzio assordante prevaricare nel rumore prima di allora

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Non avevo mai percepito un silenzio assordante prevaricare nel rumore prima di allora. Qualcosa che picchiava fino a scavarsi un posto in solitaria nella pietra, incurante del resto.

Da qualche parte sentivo gli acuti di una voce stridula e graffiata da una gola consunta, eppure il mio cervello se ne restava lì immobile, a ondeggiare nelle nubi di una confusione totalizzante.

La nebbia mi macchiava la vista, scartava i recessi di una lucidità dimenticata, e tutto ciò che vedevo era la bocca di Ilia muoversi in fretta senza emettere però alcun suono.

Tutto ciò che riuscivo a pensare era... come è possibile?

E perché gli occhi di Ilia non mi sembravano sorpresi? Perché non era sconvolto ma spaventato?

D'improvviso due palmi massicci mi afferrarono dalle spalle, così gracili in quelle dita affusolate e virili, e presero a scrollarmi privi di tatto o gentilezza.

Mi strappò a tutta forza dal mio recinto mentale, scardinò via la staccionata, paletto dopo paletto.

«Rora», sussurrava al limite dello sforzo. «Rora, cazzo, ascoltami!».

Sbattei le ciglia più e più volte, disorientata. «I-io... io non capisco...»

Ilia strinse le mascelle, proprio mentre dal piano di sotto si udivano vetri e oggetti infrangersi a terra, con quella donna che continuava a richiamare Mitch urlando.

«Non c'è tempo per poterti spiegare, okay? Ti basti sapere che quella al piano di sotto è Meghan e non deve mettere le mani su Mitch per nessuna ragione al mondo», diceva Ilia frettolosamente. «Hai capito? Per nessuna ragione al mondo!».

Scossi la testa, ancora frastornata, e indietreggiai di un passo. «Ma Athos aveva detto che era morta...»

«Beh, tesoro, a me non sembra affatto morta e non credo nemmeno si tratti di un fantasma», ribatté a quel punto, un po' più spazientito. «Quindi ecco cosa faremo. Tu ti chiuderai in camera con Mitch e io andrò a prendere Omega dalla stanza insonorizzata».

«Cosa? C'è anche Omega?». Mi portai la mano al petto, dove il cuore infuriava come un pazzo. «Oh mio Dio».

Guardandomi con i suoi occhioni alla crema di nocciole, Ilia mi strinse ancora di più le spalle. «Sì, ma non è questo il punto adesso. Hai il tuo cellulare per chiamare la polizia? Il mio l'ho lasciato in salotto».

Il salotto dove si trovava Meghan.

«Ma non potremmo provare prima a parlare con lei, magari a farla ragionare...»

«No, Rora, non possiamo. Non con lei. E ora rispondimi, hai il tuo cellulare dietro?».

Inspirai di scatto, pervasa dall'agitazione, e di punto in bianco mi ritrovai a pensare al grido di Marisol, un raschio così brusco da farmi venire la pelle d'oca e spalancare le palpebre.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now