Capitolo sedici.

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Se c'era una cosa che agognavo più di entrare ad Harvard, era senza dubbio togliere quella smorfia compiaciuta dalla faccia di Athos a furia di schiaffi

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Se c'era una cosa che agognavo più di entrare ad Harvard, era senza dubbio togliere quella smorfia compiaciuta dalla faccia di Athos a furia di schiaffi.

Aggrappandomi alla rete, mi rialzai da terra da sola. Lui non si porgeva mai la briga di tendermi una mano per aiutarmi. Se l'avesse fatto, sarebbe cascato il cielo di sicuro.

«Te l'ho già ripetuto sette volte, Lebo, che cazzo. Impegnati di più», sbuffò, osservando dall'alto della sua boria altezzosa. «Gola, piede, tempia. Sono solo tre mosse, Cristo. Ce la puoi fare».

Dovetti mordermi l'interno guancia per placare la mia sete di sangue. Athos non era per nulla un istruttore calmo; sembrava più il tipico allenatore di una squadra di hockey che insultava tutti, sperando potesse essere d'incoraggiamento.

Beh, spoiler, non lo era per niente.

«Fin lì ci ero arrivata anche io», sbottai e mi piegai ad afferrare la borraccia, per berne un sorso. «E se solo me ne dessi il tempo materiale, anziché buttarmi a terra al primo nano secondo, potrei anche dimostrarti che l'ho capito davvero!».

Mac incrociò le braccia al petto, i bicipiti si gonfiarono e i muscoli del petto guizzarono, così come le sue spalle allenate. Non indossava alcuna maglietta, il che si stava rivelando un deterrente parecchio fastidioso.

Se ne stava a più di un metro da me, dopo quel famoso due di picche che gli avevo servito sotto il mento, e faceva attenzione a mantenere la distanza tra noi, sia fisica che emotiva.

«Devi continuare ancora per molto a lamentarti come una mocciosa o possiamo riprendere da dove ci siamo interrotti?».

D'istinto, a denti stretti, gli lanciai contro la borraccia termica d'acciaio. Quasi mi slogai un'articolazione per l'energia che utilizzai. Purtroppo lui la schivò senza nemmeno sforzarsi troppo. Stupidi riflessi.

Sfidando le mie palpebre assottigliate, inarcò le sopracciglia. «Fingerò che ti sia soltanto sfuggita di mano e che non avessi alcuna brutta intenzione nei miei confronti».

«Povero illuso».

Prima che potessi anche solo metabolizzare l'atto del suo braccio che si sollevava, mi ritrovai ancora una volta con il culo sul pavimento morbido. Mugolando, strusciai la nuca lungo la rete pungente.

Cazzo.

«Non è giusto!», sputai fuori, indignata, mentre mi rimettevo in piedi, e gli puntai un dito contro. «Tanto per cominciare, questa non conta. Mi hai presa alla sprovvista. E non provare a rifilarmi il tuo solito discorso sugli aggressori che ti mandano un pre avviso su whatsapp!», lo anticipai nel momento in cui lo vidi aprire la bocca. «Poi, vorrei ricordarti che non tutti sono Athos McDravhion, il che significa che il resto del popolo si muove a una velocità normale. Ti è chiara la cosa?».

Ci stavamo allenando da una buona ora, ormai, e ciò voleva dire che avevo trascorso ben più di mezz'ora a baciare il tappeto della gabbia. Con i suoi incentivi poco piacevoli e altrettanto gentili a mo' di colonna sonora, per di più.

Athos. Tessitrice di FavoleWhere stories live. Discover now