29.

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Mi sento da schifo, ho passato una notte di merda, ho il mal di schiena per aver dormito sul divano sfondato della nonna e il mio corpo sembra non voler rispondere agli impulsi del mio cervello.

Devo andare al lavoro, ho già saltato troppi giorni e ho paura mi licenzino, cosa che non deve assolutamente accadere dal momento che ho già abbastanza problemi.

Mi stiracchio e guardo l'ora. Sono le sei e il mio turno inizierà solo alle nove, quindi ho tre ore di tempo da sfruttare in qualche modo. Non riuscirò ad addormentarmi di nuovo.

Afferro un borsone dall'armadio della mia camera e ci infilo dentro un paio di scarpe, dei pantaloncini e una canotta. Prima di essere completamente sveglio e cosciente, sono in palestra, pronto per l'allenamento.

Indosso i miei guantoni da boxe, tiro pugni al sacco, corro, sollevo pesi, salto la corda. Dopo un'ora e mezza sono sudato ed esausto ma felice, le endorfine che corrono veloci nel mio corpo, il petto che si alza e si abbassa a ritmo del mio respiro affannoso.

Resto sotto la doccia, chiudo gli occhi e lascio che i miei muscoli si sciolgano completamente, rilasso ogni fibra del mio corpo e respiro profondamente.

Quando finisco di asciugarmi trovo due chiamate perse da un numero sconosciuto. Non sarebbe un problema in condizioni normali. Ma tutto questo non è normale, ogni piccolissima cosa fuori posto, ogni segnale fa scattare dentro di me un campanello d'allarme. 

Finisco di vestirmi con il pensiero ancora fisso sulle chiamate. La mia mente non smette di rimuginarci nemmeno dopo essere arrivato al lavoro. Sono solo due chiamate, Gordon, può essere qualcuno che ha sbagliato; se fosse qualcosa di urgente ti avrebbero tempestato di chiamate o se fosse il bastardo sicuramente ti avrebbe lasciato un messaggio, mi ripete una voce dentro di me. Eppure so di non poter abbassare la guardia.

Noia. Sono passate due ore e ancora non ho visto nessuno. Ecco quello che provo in questo momento. Ho richiamato il numero ma nessuno ha risposto così mi sono arreso; forse ci riproverò fra qualche ora.

Il campanello all'ingresso trilla, risvegliandomi dai miei pensieri.

«Mi dispiace, Gordon, non so cosa mi è preso» dice Stella non appena alzo lo sguardo su di lei. Non voglio vederla. Ricordo ancora la sua bocca umida, così diversa da quella di Hanna e mi viene il voltastomaco. Non dovevo permettere che accadesse.

«Vattene, Stella, per favore, e non cercarmi più. Non ci tengo a rivederti, sparisci dalla mia vita e dimenticami» rispondo secco. Apre la bocca in segno di sorpresa e la richiude di scatto, stringendo gli occhi in due fessure.

«Io... io ti dimenticherò ma tu non ci riuscirai» sibila e se va, lasciandomi lì. Non è stato difficile e questo mi preoccupa, ma al momento non è un problema.

Il tempo passa lentamente e quando finalmente posso staccare per la pausa pranzo, corro in ospedale da Hanna. Ho bisogno di vederla, di stare con lei anche se lei non lo può sapere.

Come al solito ignoro gli sguardi della receptionist che ogni volta ammicca nella mia direzione. Non so perché ci speri, dal momento che non le ho mai dato alcun segnale di interesse.

Non aspetto nemmeno l'ascensore e prendo le scale.

Hanna è bellissima come sempre, gli ematomi hanno cominciato a riassorbirsi e le ferite a rimarginarsi; il suo aspetto sta rifiorendo, il viso ha riacquistato la sua naturale luminosità ma è comunque pallido e privo dell'abituale vitalità e rossore che di solito lo colorava.

«Finalmente ci rivediamo, amico» dice Morris entrando nella stanza con la cartelletta sotto il braccio. Lui è il mio angelo custode, è un dottore che ama il suo lavoro e lo fa con la passione che tutti dovrebbero mettere nella propria professione.

«Ho avuto da fare» balbetto senza troppa convinzione. Abbassa la testa e mi scruta da sopra gli occhiali ma non dice nulla.

«Comunque, ti aspettavo per parlarti. Una buona notizia finalmente, Hanna sta combattendo e ogni giorno fa progressi. È bellissimo e non te lo direi se non fossi certo dei miglioramenti. È una speranza, Gordon» esclama con un sorriso.

Un passo verso la fine di questo incubo, ecco cosa è. Mi alzo e mi dirigo a grandi falcate verso il medico e lo stringo in un abbraccio. Lo sento irrigidirsi ma poi sciogliersi e ricambiare.

Questo sì che è un risvolto positivo dopo giorni di merda. Un attimo di sollievo che mi fa dimenticare tutto, e mi fa tornare con la mente alla mattina di Natale in cui ho chiesto ad Hanna di sposarmi.

Il dottore mi da un paio di pacche sulla schiena e io mi stacco dall'abbraccio. Annuisce con la testa e si sposta lasciandomi lo spazio per andare da lei. L'ho notato subito il miglioramento, l'ho notato dai lineamenti distesi e dal suo aspetto sempre più simile a quello a cui sono abituato. 

Le accarezzo il viso e le lascio un bacio sulla fronte, le afferro la mano e rimango così per tutta l'ora di pausa, a guardarla, sperando che lei senta tutto quello che sto cercando di trasmetterle. Non piango ora, non davanti a lei che sta cercando di tornare alla vita anche per me.

L'ora di tornare al lavoro si avvicina inesorabile e io sono costretto a lasciarla per tornare al negozio e ricominciare il mio noiosissimo turno. Il mio telefono squilla. Di nuovo quel numero. Rimango un attimo a fissarlo e la parte codarda di me mi dice di non rispondere. Ma io non sono un vigliacco.

«Pronto? Con chi parlo?» chiedo subito. Il silenzio dall'altro capo del telefono mi mette ansia.

«Gordon? Sei tu?» una voce familiare rieccheggia dopo qualche secondo nell'altoparlante. Non riesco a ricondurla a nessuno in particolare associata a questo numero.

«Sono io, con chi parlo?» chiedo confuso. Non deve essere il bastardo, non mi avrebbe chiamato con un numero visibile e rintracciabile, non avrebbe risposto con la sua voce. 

«Non mi riconosci più, fratellino? Sono Roger, cazzone» esclama strappandomi un sorriso. Come ho fatto a non capirlo prima. Non lo sento da troppo tempo e la paranoia sta cominciando a farmi impazzire.

Sarebbe dovuto uscire fra un anno dal centro. Era il programma che avevamo accordato. Sembrava un tempo ragionevole per farlo uscire del tutto dalla sua dipendenza, perché una volta fuori non ci ricascasse. Eppure eccolo qui, a chiamarmi da un telefono con un numero nuovo, evidentemente libero.

«Roger, perché mi chiami da questo numero? Non sei più nel centro?» chiedo conoscendo già la risposta.

«Mi hanno fatto uscire per buona condotta, è già un paio di mesi che non sono più lì» dice. Parecchie domande cominciano a formarsi automaticamente nella mia testa. Non esiste la "buona condotta" nei centri di recupero. Perché, nonostante sia uscito da tempo, si sta facendo sentire solo ora? Dove è rimasto fino a questo momento? Per quale motivo non ha avvisato?

Non credo sia il momento opportuno per fargli tutte queste domande, al telefono. Voglio guardarlo negli occhi, e nel caso sia un'altra delle sue cazzate, prenderlo a schiaffi. Perché dal vivo riesco a capire quando sta mentendo e quando sta facendo il coglione.

«Potresti venire da me e dalla nonna, ci manchi» dico. Mi è mancato terribilmente e so che anche la nonna ci sta male, ma in questo momento non è il motivo principale per cui lo voglio vedere. Voglio accertarmi che vada tutto bene.

«A dire la verità, Gordon, io e la nonna ti stiamo aspettando da qualche ora.»

🍒SPAZIO AUTRICE 🍒

Eccoci giunti alla fine del ventinovesimo capitolo di Energy.
Non dimenticatevi di lasciarmi una ⭐ o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Gordon riceve due chiamate da un numero sconosciuto, e ora?
Le condizioni di Hanna sono migliorate e in lui si accende la speranza di un pronto risveglio... ma se fosse solo un'illusione?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ