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Tre anni prima

Entro in macchina e aspetto che il riscaldamento renda l'abitacolo vivibile. Sfrego le mani fra di loro e le chiudo a coppa avvicinandole alla bocca.

Il vetro coperto di brina mi ricorda quanto io odi l'inverno newyorkese. Attendo paziente, l'unico passeggero è la mia chitarra.

È un freddissimo giovedì sera e come ogni giovedì sera suono al Red Bob. Non frequento più l'università dal mese scorso, pesava troppo sull'economia della famiglia. Famiglia che si riduce a me, alla nonna e a Roger.

Non ho detto a Roger che non vado più a scuola e quando lo chiamo, cerco sempre di sviare l'argomento.

Un giorno tutte le bugie e le mezze verità di cui mi circondo, mi sommergeranno fino a togliermi il fiato, ma per il momento va bene così. Lo faccio solo per proteggere me stesso e le persone a cui tengo.

Egoisticamente, preferisco tenerle al sicuro che essere completamente sincero.

La mattina lavoro in un negozio di bricolage, è il lavoro più brutto che potessi trovare ma dà da mangiare a me e alla nonna, ed è un lavoro onesto quindi me lo tengo stretto. Oltretutto in quel negozio non entra quasi nessuno, quindi passo il tempo scrivendo la mia musica.

Il pomeriggio, suono agli angoli delle strade più affollate di New York. Suono per me stesso e a volte, le persone, non si fermano nemmeno.

Ci sono dei giorni, invece, in cui il capannello che si viene a creare è un vero e proprio pubblico, che mi ascolta, mi acclama e alla fine, lascia la mancia.

È un'entrata che si va ad aggiungere allo stipendio del negozio e alla paga delle esibizioni, e i soldi non fanno mai male. L'ho imparato a mie spese: i soldi non fanno la felicità, ma senza quelli la vita è una merda.

È un continuo districarsi tra i problemi, ed è come scappare da un cane che ti rincorre e non si stanca mai.

Guido fino al Red Bob, la radio spenta per riordinare i pensieri che mi affollano la mente ogni volta che devo esibirmi. Ormai è diventato il mio lavoro, ma l'ansia, compagna fedele, non mi ha mai abbandonato del tutto.

Ho imparato però a trasformarla in qualcosa di positivo, in adrenalina, che mi carichi e mi permetta di dare il meglio sul palco.

Scarico la chitarra ed entro dall'ingresso sul retro riservato al personale.

Stasera ho optato per una camicia, le maniche arrotolate al gomito e i primi bottoni del colletto slacciati, la collana con la fede di mia madre come portafortuna. I jeans neri strappati sulle ginocchia e gli anfibi, terminano il mio look quasi sempre uguale.

Mi sono costruito un gruppetto di fan che sono presenti ogni giovedì. Questo non fa altro che gonfiare il mio orgoglio già smisurato e a darmi una certa sicurezza: so di per certo che qualcuno che non mi odia c'è.

Imbraccio la mia chitarra e salgo sul palco, il solito sgabello ad attendermi al centro e il microfono appena davanti.

Stasera c'è un compleanno e mi hanno chiesto di cantare la solita canzoncina di auguri. Mi fa venire il vomito e la trovo estremamente imbarazzante, ma il capo ha insistito e sono pur sempre un semplice dipendente.

Sono riuscito però a ottenere che la canzoncina di merda non sia il mio numero di apertura, sarebbe veramente ridicolo per chi mi vede la prima volta.

Vorrei evitare di cantarla e poi giustificarmi dicendo che me ne sono dimenticato: sarebbe una tecnica perfetta se l'intento fosse quello di farsi licenziare in tronco.

"È una tua grandissima fan e a scelto questo posto e questa serata solo per te. Glielo devi!" Queste sono state le parole del capo.

Io non le devo proprio niente, ma lei è una ragazza ricca con la puzza sotto il naso, la classica figlia di papà a cui piacciono i ragazzi come me, da curare e da aggiustare. Avrà pagato non so quanto per questo e anche solo per il suo cognome non posso oppormi finché lavorerò in questo posto.

Finisco il mio numero di inizio e alzo la testa, per cercare con lo sguardo la festeggiata. La trovo seduta ad un tavolo proprio davanti al palco, una coroncina sulla testa e una grossa torta con le candelina accese, davanti.

Le rivolgo il mio miglior sorriso, e le canto la canzoncina stupida cercando di metterci impegno, di sembrare credibile. La sua espressione mi fa pensare di esserci riuscito.

Tutti battono le mani e le sue amiche la abbracciano, altre ragazze come lei, ricche, vanitose e prive di contenuto.

E poi la vedo.

Avevo messo da parte ogni speranza di rivederla, ogni pensiero di incontrarla e scambiarci due chiacchiere.

Avevo cercato di dimenticare i suoi occhi grigi e azzurri allo stesso tempo, che si piantano nei miei. Quello sguardo che mi aveva colpito la prima volta non era stata casualità: era così intenso, così dannatamente profondo da annegarci.

Mi fissa per qualche secondo e poi sposta lo sguardo, imbarazzata. Ha sentito anche lei la scarica elettrica che ho sentito io?

Che ti succede Gordon? Cosa fai imbambolato davanti a una ragazza? Non lo so cosa mi prende.

Guardo il suo abbigliamento, così pudico, casto. Brutto. Come quando l'avevo vista in università, con quei pantaloni e quella maglietta così larghi, oggi indossa un vestito dello stesso genere.

Non amo le ragazze troppo appariscenti, le preferisco più naturali, ma quello è veramente un vestito orrendo che non vedrei bene nemmeno indosso alla nonna. Perché una ragazza della sua età dovrebbe vestire in quel modo?

Ha un corpo da sballo da quello che riesco a intuire, nessuna ragazza dovrebbe nascondere la propria fisicità, qualunque essa sia. Non ho un genere che prediligo, le ragazze sono tutte belle.

Ma lei non è solo bella. Lei è bellissima, interessante, intrigante, e so che dietro quel bel visino e sotto quei vestiti pulciosi c'è un fuoco che ribolle.

Mi accorgo del silenzio che si è creato nella sala e capisco che stanno aspettando che cominci a suonare. Non so quanto tempo ho passato a pensare senza muovermi, spero non quanto sospetto.

Faccio finta di nulla, mi stampo il mio sorrisetto sornione sulle labbra, quello che fa impazzire le ragazze, e ricomincio a strimpellare la mia chitarra come nulla fosse, come se non avessi appena cercato di spogliare con gli occhi una ragazza, e non parlo solo dei vestiti, ma delle sue paure, dei suoi segreti, delle sue passioni.

Non mi è mai capitato nulla di simile e non so come comportarmi. Non so nemmeno che nome dare a questa sensazione, questa necessità di averla nella mia vita.

Mi sento a disagio con me stesso per non essere capace a riordinare le idee. E non ho una madre con cui confidarmi o un padre a cui chiedere consiglio. Non ho un amico che possa dirmi cosa ho, o un fratello vicino da abbracciare.

Dovrò fare da solo come al solito. Il problema è che non faccio mai niente di buono o giusto, quando agisco per conto mio. Sono troppo impulsivo e non ho nessuno che mitighi questo aspetto.

Il mio primo istinto è quello di scappare. Tutto quello che sfugge al mio controllo non può essere qualcosa di positivo. E questo rientra perfettamente nella categoria.

E se invece scappando mi perdessi qualcosa? Per la prima volta mi pongo questa domanda e credo mi assillerà per qualche tempo.

In tutta la mia vita non ho fatto altro che scappare, dai sentimenti, dalle paure, dalle emozioni, dalle persone. E se la cosa giusta da fare fosse fermarsi e restare?

🪐SPAZIO AUTRICE 🪐

Eccoci giunti alla fine del dodicesimo capitolo di Energy.
Non dimenticatevi di lasciarmi una o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Gordon, dopo aver lasciato l'università, incontra nuovamente la ragazza misteriosa. Lo colpisce tutto di lei ma un ragazzo come lui non può permettersi di interessarsi a qualcuno.
O sì?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now