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Rimango imbarazzato con i piedi piantati a terra. Non so cosa fare, mi sento a disagio ma so che questo è il mio posto più che il loro.

Elisabeth guarda Hanna con occhi dolci, la testa piegata di lato, mentre le accarezza la fronte bendata. Che diavolo sta facendo? È pur sempre sua madre, ma credo se ne sia ricordata solo nelle ultime ventiquattro ore.

Fisso Mark, le guance color porpora, lo sguardo basso a scrutare non so cosa sul pavimento, troverà interessanti le mattonelle.

«Andiamo a bere qualcosa, Mark?» chiedo di getto, senza pensarci troppo. Non so cosa sto cercando precisamente, ma so che questo atteggiamento nasconde qualcosa e voglio scoprirlo. Diffido di chiunque praticamente, non mi fido quasi nemmeno dei dottori.

Mi guarda con espressione interrogativa e i signori Clark fanno lo stesso. Non se lo aspettavano e, onestamente, non me lo aspettavo nemmeno io.

Annuisce, sotto lo sguardo incerto dei suoi genitori. Camminiamo affiancati fino alla fine del corridoio e lo guido alle scale che conducono al piano terra dove si trova il bar dell'ospedale. Non so come cominciare una conversazione, non so cosa cerco di tirargli fuori. Non so niente.

«Perché mi hai chiesto di venire con te?» chiede dopo qualche minuto di silenzio, rompendo il ghiaccio.
«Nulla, i tuoi genitori mi mettono ansia, avevo bisogno di prendere aria, e mi sembrava che anche tu ne avessi bisogno.»

Non è il motivo principale che mi ha spinto a portarlo con me, ma non è una spiegazione che si discosta troppo dalla realtà.
«Già» dice solo, senza smentirmi.

Non abbiamo molti anni di differenza, eppure lui sembra avere il doppio della mia età. Sarà il modo di vestirsi, la postura leggermente inclinata in avanti, le spalle incurvate, la pettinatura. Una serie di variabili che lo fanno sembrare coetaneo dei suoi genitori.

Ricordo di aver pensato la stessa cosa anche di Hanna la prima volta che l'ho vista, non mi sono mai sbagliato così tanto in vita mia. Quella ragazza era una forza dentro, un vulcano nei panni della ragazza ingenua e incredibilmente sottomessa, senza carattere. Eppure ha dimostrato di averne molto più di me.

«Ho visto quando l'hanno travolta» comincio una volta seduti a un tavolino.
Lui alza gli occhi e mi guarda, non saprei bene dire come.

«Immagino non sia stato un bello spettacolo» risponde. Che cazzo di riposta è questa? È sua sorella e questo è tutto quello che ha da dirmi? Faccio finta di non aver sentito e proseguo.

«Mi sono sentito terribilmente in colpa, avrei voluto essere io al suo posto» continuo sempre attendendo una sua reazione che non arriva. Non dice nulla e questo mi sta facendo innervosire molto. Mi sembra di parlare da solo.

«Sai, non credo sia stato un incidente, credo fosse una cosa intenzionale» affermo, e ciò sembra interessarlo, colpirlo in qualche modo, perché alza la testa e mi guarda negli occhi intensamente per la prima volta da quando ha messo piede in questo posto.

«Come fai a esserne certo, eri lì ma non hai visto chi c'era alla guida dell'auto, giusto?» chiede con un attimo di incertezza nella voce.

«No, purtroppo non l'ho visto, altrimenti sarebbe già morto e sepolto in qualche bosco fuori dalla città» dico con calma, e lo vedo deglutire lentamente, visibilmente in difficoltà. Perché fa così se non ha nulla di cui preoccuparsi?

«Sai, non dovresti dire queste cose in mezzo ad altra gente come se niente fosse» sussurra lui di rimando, e capisco che il suo sia disagio più che agitazione.

«Cosa è, ti da fastidio essere seduto al tavolo con uno come me? Rovino la tua reputazione e il tuo bel faccino immaccolato da figlio di papà?» lo provoco. Chiunque avrebbe reagito. Ma non Mister Palo nel Culo. Lui rimane calmo e pacato, fa un respiro profondo e fissa i suoi occhi nei miei.

«Non so cosa ci abbia trovato Hanna in uno come te. E non parlo della tua condizione sociale, ma del carattere che ti ritrovi» sputa fuori. Vorrei dirgli che sto cercando di capirlo anche io, ma me ne sto zitto, soddisfatto di aver provocato una reazione, seppur minima, nel mio interlocutore.

«Sai una cosa, io Hanna la amo con tutto me stesso, più di qualunque altra cosa esistente sulla faccia della terra, e farei qualunque cosa per proteggerla, anche far fuori chiunque abbia cercato di portarmela via» esclamo a denti stretti. Non posso sapere se lui sia coinvolto o meno nell'incidente ma qualcosa mi dice di si.

Perché non è disperato? Sua sorella è quasi morta e l'unica cosa che è riuscito a dirmi è stato che probabilmente non è stato un bello spettacolo.

Se succedesse una cosa del genere a Roger, non risponderei di me. Lui è me e io sono lui. Potrei aver litigato con lui ma mai lo abbandonerei in una situazione del genere. Ne uscirei distrutto, sconfitto, prosciugato nella mia integrità di essere umano.

Mentre questo omuncolo che mi ritrovo davanti si limita a fare cenni col capo, parlare a monosillabi e guardarsi attorno per vedere che nessuno ci stia guardando.

È un caso perso in partenza, non so nemmeno cosa cazzo sto facendo. Un buco nell'acqua. Anzi due buchi nell'acqua, perché nemmeno l'incontro con Ryan si è rivelato utile. Una stronzata dopo l'altra, una delusione dopo l'altra che mi stanno conducendo alla pazzia.

Dubito di chiunque. Potrebbe essere stato chiunque oppure è stato davvero solo un incidente. Non ho mai preso in considerazione questa idea per via del mazzo di rose. E se fosse tutta un'enorme coincidenza?

Cazzate. Le coincidenze non esistono. Niente avviene per caso in questo mondo, come nella matematica. Non c'è nessun problema, nessun assioma che non sia dimostrabile e così è la vita.

«Auguri» dice Mark alzandosi. Mi ero quasi dimenticato di lui, perso come ero nei miei pensieri e nelle mie teorie. Auguri? Per cosa? Non ricordo nemmeno cosa è stata l'ultima cosa che gli ho detto. Quella che avrei trovato il responsabile dell'incidente? Probabilmente sì.

Lo odio. Che cazzo di risposte sono? Lo guardo andare via con la sua postura ricurva in avanti, un passo dopo l'altro, velocemente, per lasciarsi alle spalle quello strano incontro con il ragazzo psicopatico della sorella.

Non sembra il tipo che escogiterebbe un incidente per fare del male a qualcuno. Ma è sempre così, sono sempre i più insospettabili i colpevoli.

Si gira una sola volta nella mia direzione, l'espressione dura, che non lascia trasparire nulla. Cosa avrebbe potuto motivare un'azione del genere? Gelosia? Invidia? Paura?

I genitori di Hanna hanno continuato a cercarla nonostante se ne fosse andata di sua spontanea volontà. Che sia questo il movente, una sorta di inferiorità che avverte nei suoi confronti?

Non lo so. Ma non voglio crederci. Non voglio pensare che un fratello abbia potuto fare una cosa del genere. Eppure il notiziario ne parla in continuazione, di genitori, familiari che torturano, ammazzano, anche se non sembra reale finché non capita a te.

E poi, tutto a un tratto mi torna in mente quello che ha detto Ryan. I parenti sono serpenti. Che fosse Mark il parente a cui si riferiva quel figlio di puttana? Potrebbe essere. Effettivamente ha più senso di qualsiasi altra cosa io abbia pensato in questi giorni.

Forse la mia visita in prigione non è stata poi così inutile. Forse è proprio questa la chiave di tutte le mie domande.

🐍SPAZIO AUTRICE 🐍

Eccoci giunti alla fine del settimo capitolo di Energy.
Non dimenticatevi di lasciarmi una o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Gordon è a disagio con la famiglia di Hanna, ma chi sembra ancora più intimidito è Mark. Gordon lo invita a fare un giro e cerca di indagare sui motivi del suo malumore.
Cosa nasconde Mark?
C'entra qualcosa con l'incidente di Hanna?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now