3.

220 8 4
                                    

Sono carico come una molla. Stamattina mi sono svegliato di buon'ora, come sempre, e ho rifatto il letto, Hanna odia quando le lenzuola sono sgualcite e non riesce a domire se non sono tese alla perfezione, quindi io faccio del mio meglio.

Ho fatto il caffè, e ho mangiato una fetta di pane. Faceva schifo, solo Dio sa da quanto tempo era nel cesto, ma ero e sono troppo agitato oggi per badare alla qualità di quello che ingerisco.

Mi sono messo un paio di jeans scuri, una felpa senape, anfibi neri e il mio solito giubbino di pelle dello stesso colore. Non sono sicuro di quello che sto per fare, non so nemmeno se mi permetteranno di vederlo, ma devo tentare.

Devo provarci perché non so dove altro sbattere la testa e da qualche parte dovrò pur cominciare. Le indagini di Hanna sono finite lì, magari le mie è da lì che devono iniziare. Da lui.

«Chi desidera vedere?» mi chiede la poliziotta da dietro il vetro all'entrata del carcere.
«Vorrei parlare con Ryan» dico ostentando una certa sicurezza che non ho.
«E chi sarebbe lei?» domanda alzando un sopracciglio.

Ho già visto questa donna, sono stato in carcere anche io non molto tempo fa. Spero che lei non si ricordi di me, passano così tante persone da qui. È una donna massiccia sulla quarantina. La divisa blu le sta stretta, soprattutto sulle spalle e sui bicipiti evidentemente allenati. Se mi aggredisse mi darebbe del filo da torcere.

I capelli sono legati in uno chignon stretto e ingellato sui lati, e tutta la faccia sembra quasi tirata per la pettinatura esageratamente rigida.

«Sono suo cugino, Gordon» dico allungando il mio documento di identità sul banco che divide me e la donna. Corruccia la fronte e mi scruta con aria sospettosa ma non dice nulla.

So che ora andranno a chiedere a lui se vuole vedermi e spetterà a lui confermare il suo legame di parentela con me. Ed è sul suo lato curioso, folle, da pazzo manipolatore che voglio fare leva.

Chiunque se si trovasse davanti a una bugia così esplicita negherebbe. Un po' per paura, un po' perché quando sei lì dentro nulla ha più senso. Ti importa solo il poter vedere una manciata di persone, le conti sulle dita di una mano, nel mio caso anche metà sarebbe bastata.

Tutta la restante parte del genere umano pottebbe essersi trasferita su Marte e a te fregherebbe poco. Diciamo pure un cazzo. Non te ne fregherebbe un cazzo.

Ma lui non è una persona normale. Ed è proprio per questo che accetterà di vedermi e anzi, starà scalpitando all'idea.

La donna torna, stringe gli occhi in due fessure e mi invita a seguirla, districandosi tra la fitta rete di corridoi del carcere. Ogni tanto si gira a vedere se la sto seguendo e capisco dalla sua espressione che sta cercando di collocare il mio viso tra i suoi ricordi. Spero solo non si accorga di chi sono prima del mio colloquio.

Vengo portato in una grande stanza divisa a metà da una lunga fila di tavoli, su di essi un vetro che divide una parte dall'altra, per tenere lontano i detenuti dai visitatori. Ogni tavolo è separato dagli altri da un pannello di legno che servirebbe a garantire una certa privacy. Vedo una postazione libera in fondo alla sala ed è lì che la poliziotta mi conduce.

«Avete un quarto d'ora» conclude la donna prima di lasciarmi solo con il mio interlocutore, già seduto dalla parte opposta del vetro.

Non è messo benissimo. Ha la barba lunga, i capelli sono spettinati e due occhiaie violacee gli solcano il viso stanco. Lo zigomo è arrossato, qualcuno deve avergli tirato un pugno o uno schiaffo recentemente. A conferma dei miei sospetti, noto il labbro inferiore spaccato.

Nonostante l'aspetto, la sua espressione non è cambiata: mi guarda con un sorrisetto spavaldo, gli occhi scuri e impenetrabili che non tradiscono emozioni. Ma su di me non sortisce alcun effetto, non è in grado di mettermi a disagio, né tantomeno intimorirmi.

Se non ci fosse questo cazzo di vetro in mezzo, gli salterei addosso e gli metterei le mani al collo fino a farlo diventare cianotico e vedere la vita scivolare via da quella sua faccia di merda.

Non mi sono mai vendicato per quello che ha fatto ad Hanna, ed ora che lo vedo la rabbia comincia a montarmi nel petto con impeto, mi mangia l'anima e reclama tutto ciò che può fare suo. Mi attanaglia la gola e mi attorciglia lo stomaco chiedendo al mio corpo di reagire, di sfogarla su di lui, su questo posto.

Ma non posso. Cerco di regolarizzare il mio respiro, il battito cardiaco e rilassare i muscoli. Non è semplice, anzi, credo sia la cosa più difficile che io abbia mai fatto ma è per una buona causa. Un passo falso e manderei a puttane tutto, mi porterebbero via.

Così cerco di pensare ad Hanna e al motivo per cui sono lì, alla verità e alla mia brama di scoprirla. Ma non abbasso la guardia e sostengo il suo sguardo finché non è lui a parlare per primo.

«Che sorpresa Gordon, non ti aspettavo, sono felice di vederti» attacca cauto, con un sorriso beffardo sul viso.
«Non posso dire lo stesso, ma non sono venuto per tenerti un po' di compagnia» dico con astio, quasi ringhiando.

Se pensa di farmi paura si sbaglia di grosso. Deve ringraziare Dio che c'è un vetro di mezzo, sennò sarebbe già morto.

«Che peccato» si prende gioco di me. Mi sta provocando, tutto quello che vuole è che io reagisca, ha già visto di cosa sono capace, e venga cacciato o addirittura arrestato. Ma non starò al suo gioco. Faccio un respiro profondo.

«Senti verme schifoso, non ho voglia dei tuoi cazzo di giochetti. Dal momento che sei un fottuto senza palle ora cercherai di riscattare la tua dignità di uomo rispondendo alla mia domanda. Altrimenti troverò un modo di farti fuori, di trovare chi ti sta a cuore e ammazzare pure loro anche a costo di passare tutta la mia vita in questa prigione di merda» dico tutto d'un fiato, tra i denti, a bassa voce.

In un momento il suo viso perde l'espressione spavalda di poco fa e si tramuta in paura mista a disprezzo. Da che pulpito.
«Dimmi cosa vuoi sapere e poi mi lascerai in pace» accondiscende dopo qualche secondo.

«Chi è stato a investirla?»
«A investire chi?»
«Non fare il finto tonto, Hanna»
«Non lo so. Non sapevo nemmeno fosse successo»
«Bugiardo, le televisioni ci sono anche in galera»
«Non so di cosa stai parlando.»

Non so cosa mi aspettassi, se un nome, una confessione o cos'altro. So che non ho ottenuto niente di tutto ciò e nemmeno un fottutissimo straccio di indizio.

«Il tempo è scaduto gente, salutate i vostri cari» esclama la poliziotta troppo presto.

«Non finisce qui» ringhio guardandolo dritto negli occhi.
«Io dico di sì» risponde e di nuovo quel ghigno gli attraversa il viso. Mi viene il vomito a pensare che questa feccia umana abbia potuto baciare la mia Hanna.

Mi giro e me ne vado senza nemmeno salutarlo finché lui non mi chiama e socchiudendo lo sguardo mi dice qualcosa che non riesco a capire. Un'altra cazzo di frase senza senso per gettarmi ancora più merda addosso.

«Gordon, i parenti sono serpenti.»

💣SPAZIO AUTRICE 💣

Eccoci giunti alla fine del terzo capitolo di Energy. 
Non dimenticatevi di lasciarmi una o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Gordon non si da pace e cerca risposta in Ryan, una vecchia conoscenza, che con il suo fare sempre enigmatico non gli fornisce nessuna informazione.
Ryan è veramente estraneo alla faccenda?
Quale sarà la prossima mossa di Gordon?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now