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Alzo di scatto la testa, la sento scoppiare, le tempie mi pulsano. Ho la gola secca e, quando tento di deglutire, brucia come se stessi inghiottendo chiodi. Mi sposto i capelli incollati sulla faccia e mi asciugo la bava che si è creata mentre dormivo.

Scosto la coperta e mi sollevo a sedere. Non riconosco il posto in cui mi trovo: il divano di pelle marrone su cui mi trovo è consumato e vecchio, sfondato nella parte centrale, il materiale è diventato ruvido e ha perso morbidezza.

La luce filtra da una finestra con delle tendine leggere, semitrasparenti e la baraonda di questo posto mi confonde. Metto a fuoco una cassettiera carica di un'infinità di oggetti di ogni tipo, una lampada con un paralume rosa e una sedia bianca nell'angolo della stanza.

«Ti sei svegliato, dormiglione» mi saluta una voce femminile entrando nella piccola stanza. Mi giro di scatto e vedo Margot scostare le tende di perline trasparenti che decorano la porta. Stringo la testa fra le mani cercando di ricordare la serata di ieri sera invano.

Il dubbio comincia a farsi strada dentro di me. Cosa è successo? Cosa ho fatto? Spero niente di male e, dal momento che non ricordo nulla, probabilmente mi sono limitato a bere.

«Hai bevuto qualche bicchierino di troppo e sei praticamente morto sul bancone, quindi ti ho accompagnato nella stanza sul retro e sei rimasto qui tutta notte. Non pensavo di trovarti ancora qui stamattina» mi spiega Margot piegando la coperta che ho scostato poco fa.

Ripenso a quello che mi ha appena detto. Ho passato qui tutta la notte e questo vuol dire che non sono andato da Hanna ieri sera. Non sono andato a vedere come stava dopo l'intervento, né ad augurarle la buonanotte.

Mi sento una merda, ancora più di ieri. Ricordo di aver risposto al telefono, una chiamata in cui l'ospedale mi informava che l'operazione di Hanna era terminata e che era stata riportata in camera a riposare.

Niente di più e niente di meno. Questo mi aveva tolto un enorme peso dallo stomaco, ma ciò non giustifica la mia mancanza all'appuntamento con Hanna, né tantomeno l'essermi ubriacato come un ragazzino alle prime esperienze con l'alcol. O come una persona depressa che non trova altra consolazione nella vita.

Mi infilo le scarpe, l'unica cosa che ho tolto prima di cadere nell'oblio.

«Se vuoi darti una rinfrescata c'è il bagno laggiù» mi dice Margot, indicandomi una porta in fondo a un piccolo corridoio.

La ringrazio riconoscente, le mie parole escono roche e gracchianti dalla gola secca e arida. Prima di recarmi al bagno raggiungo l'auto e recupero un paio di pantaloni neri e una felpa grigia dal baule.

Porto sempre con me qualcosa per cambiarmi, mi è capitato più di una volta di dormire in macchina dopo una serata in cui avevo esagerato.

Torno in bagno e mi lavo il viso; quando alzo gli occhi e mi guardo allo specchio quello che vedo non sembro io: le occhiaie scure, i capelli appiattiti da un lato e la texture del divano stampata sulla guancia. Sto diventando sempre più trasandato, il mio aspetto non mi interessa nemmeno più.

Indosso i vestiti puliti e mi sistemo i capelli con l'acqua cercando di rendermi presentabile. Esco dal bagno di fretta e saluto Margot con un bacio sulla guancia.

Oggi è sabato quindi fortunatamente non dovrò recarmi al lavoro, sarei comunque in ritardo e non nelle condizioni adatte per parlare con dei clienti.

Riconosco la macchina di Liam nel parcheggio dell'ospedale e mi affretto ad entrare per salutare anche lui.

Incontro Claire nel corridoio ma non mi saluta nemmeno e sono grato di ciò. Quando giungo nella stanza di Hanna rimango sorpreso: non c'è solo Liam, ci sono tutti i ragazzi dell'Energy al completo, Nate compreso.

«Che fine avevi fatto? Ti ho chiamato un'infinità di volte» mi sussurra Liam avvicinandosi a me.

«Ho avuto qualche problema» rispondo superandolo e dirigendomi verso Hanna.

Ha la testa ancora fasciata, la sua carnagione sembra più pallida di come me la ricordassi ma per il resto sembra la stessa di sempre. Le palpebre chiuse come se stesse dormendo, le piccole mani poggiate in grembo, la testa adagiata sul cuscino.

Le do un bacio leggero sulle labbra screpolate. È stupido ma ogni volta che poggio la mia bocca sulla sua, spero che lei ricambi il mio gesto, mi getti le braccia al collo e mi stringa tra le braccia. Mi aspetto che mi dica che è tutto finito e che possiamo tornare a casa.

«Gordon, puoi venire?» mi chiama lo stesso medico che solo ventiquattro ore fa mi ha abbracciato.

Lo seguo appena fuori dalla porta.

«Come stai, ragazzo? Hai una bruttissima cera» mi chiede. Credo ormai si sia affezionato a me e alla mia storia, e con la stretta di ieri abbiamo sancito un legame che prevede più confidenza di quanta dovrebbe essercene tra dottore e paziente.

«Diciamo che ho avuto dei momenti migliori» rispondo vago. Annuisce appena.

«Ho delle notizie da darti riguardo l'operazione della tua ragazza» comincia e io resto in silenzio in attesa che vada avanti.

«L'operazione è andata bene, la tua ragazza ha una bella tempra e sembra rispondere bene alla terapia. Il problema però è che questo attacco potrebbe essere il primo di tanti e temiamo che potrebbe avere effetti negativi a livello cerebrale» mi spiega.

Non so bene cosa significhi questo ma non è nulla di buono. E per la seconda volta in ventiquattro ore il mondo mi crolla addosso.

«Non è detto che sia così, però preferisco metterti al corrente di tutte le possibili situazioni. Potrebbe svegliarsi domani, come rimanere paralizzata o non svegliarsi più o avere un collasso cerebrale» dice con un'espressione triste sul viso.

Ci metto un attimo ad assimilare quanto mi ha appena detto. Morte. Non avevo mai pensato veramente a questa opzione. Lei non può morire. Non può lasciarmi qui da solo.

«Senti campione, io credo lei possa farcela. È forte, è una guerriera e finora ha superato ostacoli inimmaginabili. Non smettere di sperare, lei lo sente» aggiunge il dottore sorridendomi. Mi mette una mano sulla spalla e ma la stringe.

Annuisco e lo ringrazio. Non è molto peggio rispetto a quanto sapevo prima. Anche prima c'era questa possibilità. Non posso pensare di lasciarmi abbattere da ciò. Non posso pensare di essere pessimista.

Devo parlarle, tenerle compagnia, tranquillizzarla, baciarla. Non devo più sparire a ubriacarmi, devo passare quanto più tempo possibile con lei. E devo trovare il bastardo che ha tentato di portarmela via, senza risultato.

Perché non ha vinto. Lei è ancora viva e io sono ancora qui con lei e per lei.

«Brutte notizie dal dottore?» mi chiede Liam raggiungendomi nel corridoio.

«Niente peggio di quanto già sappiamo» gli dico. Mi fissa socchiudendo gli occhi e corrugando la fronte, studia il mio viso alla ricerca della verità. Cazzo con Hanna ho perso anche la mia faccia da Poker.

«E allora cosa ti frulla nel cervello?» insiste. E allora capisco che devo dirglielo. Deve sapere. Per proteggere lui e metterlo in guardia. È lui che ha salvato Hanna e che ha tramortito Ryan. Potrebbe essere in pericolo tanto quanto me e lei.

Non so perché non avessi pensato a questo dettaglio gigantesco. Non solo potrei avere bisogno del suo aiuto, ma nemmeno lui è al sicuro. Così alzo lo sguardo e pianto i miei occhi nei suoi.

«Lo sai mantenere un segreto?»

SPAZIO AUTRICE

Eccoci giunti alla fine del diciassettesimo capitolo di Energy.
Non dimenticatevi di lasciarmi una o un 💌 il vostro parere è importante per me!
Gordon dopo aver trascorso la notte nel locale, torna da Hanna, le cui condizioni non sono delle migliori.
Hanna si sveglierà?
Quale sarà la prossima mossa di Gordon?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY 2: Lottare per amoreWhere stories live. Discover now